da Londra
Se un certo stereotipo dellItalia continua a essere superficialmente diffuso in Inghilterra, è tuttavia la visione colta del nostro paese che prevale, sia pure frammentaria, e il piacere intellettuale che ne deriva alimenta quellitalofilia britannica che da due secoli e mezzo non ha mai subito battute darresto, neppure nel difficile momento del fascismo e della guerra. «Lamore per lItalia dura da una decina di generazioni. È una seduzione che affonda le radici nella nostra scuola, lo studio del greco, del latino e dei classici sviluppavano una conoscenza dellItalia più di ogni altro luogo», spiega lo storico e scrittore David Gilmour. «Il Grand Tour nel 700 faceva scoprire agli aristocratici il Rinascimento e una passione per larte che avrebbe portato in Inghilterra assieme a un immenso bagaglio di opere anche unirrinunciabile nostalgia del calore, del carattere aperto e dalla sensualità dei suoi abitanti. Questi tratti rendevano lItalia meta ideale soprattutto di chi era anti-establishment, in cerca di libertà dalla stretta delle convenzioni inglesi. Come Keats, Shelley e Lord Byron, erano in molti a sentirsi più liberi di essere e di fare nel clima e nel calore dellItalia».
Il Grand Tour dellaristocrazia britannica non significò soltanto linizio delle grandi collezioni darte in Inghilterra ma esso lanciò anche il fenomeno delle ville palladiane nella campagna inglese. «Fino al neogotico vittoriano, osserva appunto Gilmour, lo stile del Palladio fu lo stile dominante nellarchitettura delle più grandiose e più belle dimore patrizie inglesi». Ricordiamo lelegante Chiswick House a Londra o limponente Kedletson Hall, la casa di Lord Curzon nel Derbyshire.
Come conferma John Julius Norwich, lo studioso italofilo per eccellenza, autore di diversi libri su Venezia, la Sicilia, e attualmente al lavoro su una Storia del papato, «il clima, il sole, il cibo e la bellezza hanno indubbiamente la loro parte, ma litalofilia degli inglesi nasce dalla nostra enorme ammirazione per quello che lItalia ha prodotto nellarte e nellarchitettura, e dalla gratitudine per il contributo che lItalia ha dato alla civiltà europea». Il lungo impegno di Lord Norwich con il «Venice in Peril Fund», lassociazione costituita nel 1966 da Sir Ashley Clarke per raccogliere fondi per il restauro di arte e archivi a Venezia, è una delle tante espressioni concrete di solidarietà britannica per la tutela del retaggio culturale italiano.
Ma non cera solo larte nelle pieghe dellitalofilia inglese, spiega ancora David Gilmour. Nell800 lItalia era diventata meta anche del ceto medio-alto e mutavano le sensibilità. «È importante non dimenticare lidentificazione degli inglesi con il processo di unificazione dellItalia, i sentimenti e lincoraggiamento per il Risorgimento». Le affinità con lItalia si esprimevano anche a livello più popolare, per esempio con lesaltazione di Garibaldi e la creazione di un culto, che del resto vige ancora, intorno alla sua figura. Sconfinata nella realpolitik litalofilia diventava sempre meno elitaria, e se oggi lItalia non è più meta soltanto di un élite intellettuale e sociale, «anche col turismo di massa linglese che si reca in Italia è sempre più colto di quello che va in Spagna o in Francia, dichiara Gilmour, interessato ai centri storici, in generale ben conservati, critico invece della mancanza di rispetto per le campagne e il paesaggio, la negligenza della pianificazione». La mancanza di affetto insomma per quel countryside a loro tanto caro.
Tuttavia, Susan Kikoler, honorary director della storica British-Italian Society fondata nel 1941 in segno di solidarietà per lItalia nonostante la guerra, denuncia fra le nuove generazioni una visione troppo «omogenea» dellItalia, che si adopera per correggere.
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