Disegnare l'albero genealogico di molti stili birrari europei è esercizio assai complicato. Difficile, per esempio, risalire alle origini precise di lager, weizen o stout. Quando però parliamo di Pils, birra oro che sta acquistando rapidamente terreno anche in Italia, i confini spazio-temporali che la racchiudono sono molto più definiti. Questo perché il suo nome rimanda a un luogo preciso: Plzen (altrimenti detta Pilsen, appunto), una rilassata cittadina ceca di radici medioevali a un centinaio di chilometri da Praga.
Che sia la culla delle pilsener lo intendi subito quando, entrando in città, ti trovi davanti al quartier generale della Pilsner Urquell, pilsner-urquell.com, una fabbrica-museo sterminata che, un po' come la Fiat a Torino, traina le sorti di migliaia di persone. Con la differenza che la visita al complesso può risultare inebriante. Intanto perché, qui lo sanno anche i muri, questo è il luogo in cui il mastro birraio Josef Groll 165 anni fa azzeccò una formula di 4 ingredienti che nei decenni ha partorito imitazioni in altrettanti angoli del globo. Ingredienti che, per inciso, sono dolce malto chiaro ricavato dall'orzo delle terre di Boemia e Moravia; luppolo Saaz, di un amaro che, profumato di fiore, non fa contrarre le fauci; acqua quasi de-mineralizzata e de-salinizzata che scorre nel sottosuolo e lievito che loro definiscono segreto perché scippato decenni fa a un monastero da un monaco birichino.
Vale la pena, allora, fare un tour per seguire tappe e ambienti di un processo di produzione tra i più antichi e certosini d'Europa e in cui, tra l'altro, la decozione (tripla) dell'infusione di orzo e acqua avviene a fiamma viva e non con arnesi elettrici o a vapore. Un processo che dà origine a una delle migliori birre pastorizzate in circolazione, in Italia disponibile in tantissimi locali.
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