Ecco quello che si poteva fare

(...) il Governo Monti, ma le indiscrezioni che circolano insistentemente da giorni promettono ben poco di buono: solo per fare alcuni esempi si parla di reintroduzione dell'Ici sulla prima casa, introduzione della patrimoniale, aumento dell'Iva. Al contrario, noi siamo convinti, ora più che mai, che bisogna dire no a nuove tasse. Per poveri, per ricchi, per tutti: no a nuove tasse!
Per questo, anche luce della entusiastica e forte risposta che i cittadini hanno dato partecipando alla manifestazione di venerdì 25 novembre del Teatro della Gioventù promossa dagli «Amici del Giornale», e da te splendidamente organizzata, ci siamo permessi di addurre le motivazioni delle nostre preoccupazioni e alcune proposte.
In questo senso, tra le tante possibili, avanziamo dieci proposte concrete:
1) vendita dei beni immobili pubblici, anche attraverso sdemanializzazioni, nonché vendita e dismissione massiccia delle società partecipate. Se patrimoniale deve essere deve pagarla lo Stato e deve terminare il vergognoso «socialismo municipale» che sta alla base del proliferare della spesa finalizzata ad assicurare posti di lavoro a politici (o para-politici) in disgrazia;
2) abolizione delle province: solo riallocandone le funzioni tra comuni e regioni potremmo avere almeno 2 miliardi di euro di risparmi all'anno. Immaginando la ricollocazione del personale si possono stimare risparmi ulteriori derivanti da economie di scala stimabili in circa un miliardo di euro l'anno;
3) drastica riduzione dei costi della politica: non si salva l'Italia con questi risparmi, ma se i politici chiedono sacrifici devono essere anche i primi a dare l'esempio.
4) profonda deregolamentazione del commercio. Le leggi regionali in materia sono allucinanti e sembrano considerare il commercio alla stregua di un'attività pericolosa, da autorizzare con estrema cautela: la maggior parte di tali testi normativi merita di essere abrogata senza rimpianti. Ogni persona deve essere libera di intraprendere un'attività commerciale nel rispetto delle regole in materia di sanità, sicurezza e ordine pubblico;
5) profonda deregolamentazione delle professioni, non solo intellettuali, e degli albi: gli ordini professionali potrebbero essere mantenuti ma senza regole restrittive della concorrenza. Molti ordini, albi, registri e collegi, poi, non hanno proprio alcun senso e vanno aboliti: ve ne sono dozzine e dozzine, ma basterebbe abrogare tutti quelli fioriti negli ultimi decenni;
6) profonda razionalizzazione e liberalizzazione del diritto del lavoro. In questo senso è da lodare l'iniziativa del Sen. Ichino, che ha avanzato una proposta di semplificazione della normativa esistente. Ma bisogna fare molto di più, favorendo i contratti di lavoro aziendali e finanche individuali, uscendo dall'assurda e inconcepibile prassi per cui un lavoratore o un'impresa che non hanno conferito mandato ad alcuna organizzazione di categoria debbano trovarsi vincolati alle scelte dei sindacati o della Confindustria;
7) velocizzazione della riforma previdenziale. Con ciò non si vogliono certo toccare le pensioni esistenti, ma fare in modo che, da subito e per il futuro, esse vengano calcolate con il metodo contributivo, eliminando le pensioni di anzianità e favorendo la permanenza al lavoro sino ad almeno 68 anni. In questo senso le idee della Ministero Elsa Fornero, perlomeno come da lei espresse in sede scientifica, sono condivisibili;
8) taglio la spesa, ma senza tagli lineari, giungendo finalmente alla logica della spesa standard. E' necessario tagliare nei settori e negli enti locali in cui si spende di più a parità di risultati: non è possibile che prestazioni uguali (o, molto spesso, inferiori) costino molto di più in certe regioni piuttosto che in altre. Per i trasferimenti alle regioni si deve procedere a conferire risorse pari a quanto risultante dalla media delle spese regionali, escludendo le due regioni più virtuose e le due regioni meno virtuose. Così si deve operare per ogni trasferimento ad enti locali e per l'assegnamento di risorse ai vari comparti dell'Amministrazione, con rigorosi blocchi delle assunzioni a fronte di dismissioni di funzioni che devono essere restituite alla libera iniziativa personale;
9) semplificazioni tramite razionalizzazioni e abrogazioni. La politica del diritto è una vera emergenza nazionale, ma non se ne occupa praticamente nessuno: come si può pensare che siano applicabili leggi composte da decine, se non centinaia, di pagine scritte? E' necessario agire sia sullo stock (cioè sulle norme esistenti) sia sul flusso (cioè sulle nuove norme) tramite l'elaborazione di codici omnicomprensivi emendabili solo tramite modifiche e abrogazioni espresse, nonché tramite aggiunte autosistematizzate;
10) vincolo costituzionale del pareggio di bilancio. Ogni sforzo sarà inutile se non si imporrà un obbligo costituzionale di pareggio di bilancio, possibilmente inderogabile. Può sembrare un'affermazione vaga, ma significa che il settore pubblico deve spendere ogni anno quanto incamera come tributi, senza chiedere in prestito altri soldi per sostenere spese non finanziabili. Se il popolo sovrano vorrà spendere maggiormente dovrà anche accettare la responsabilità, piena, diretta e presente, di tale spesa, senza scaricare più alcunché sulle generazioni future. Lo si ribadisce: è il modello stesso di Stato che deve essere modificato.

In questo senso è anche sommamente opportuno porre un tetto inderogabile di spesa pubblica in rapporto al PIL.
Lo sappiamo, sono riforme dirompenti, ma non impossibili e per realizzarle non serve un tempo eterno.
*Consigliere regionale Popolo della Libertà
Silvio Boccalatte
*Fellow dell'Istituto Bruno Leoni

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