San Patrignano (Rimini) - Dall’Italia i campi di mine di Kabul sembrano davvero lontani. Un campo di calcetto, palla al centro e anche la stanchezza del lungo viaggio se ne va. Per Roya, Malali, Sakina, Massouda e Avesta, 5 ragazze afgane fra i 15 e i 18 anni che indossano la maglia del Roots of Peace Girls Afghan Soccer Team la libertà ha il sapore di una partita speciale. La squadra è arrivata sabato a San Patrignano, in occasione della prima edizione del Drugs Off Day, per un derby contro la squadra femminile della comunità, poi terminata con un diplomatico 3 a 3. Le ragazze hanno presentato per la prima volta in Europa, la storia di una squadra di calcio formata grazie all'intervento di "Roots of Peace" (ROP), un'associazione internazionale di volontariato che opera in tutto il mondo per rimuovere mine dai 'teatri' di conflitti. Oggi in Afghanistan esistono ben 12 squadre femminili, nel 2002 a Karte Char, sobborgo della capitale afgana e sede della squadra, il campo fatto sminare è diventato un campo da calcio sicuro dove tornare a vivere.
L’allenatore di un sogno
Ahmad Fahwad, 21 anni, è l’allenatore della squadra,al posto della gamba destra, saltata in aria quando ne aveva 6 con una mina russa, una stampella che non gli ha tolto la voglia di vivere. Stare fermo, giusto il tempo di raccontarsi, gli costa fatica. "Pensavo che non avrei mai più giocato a pallone – ricorda Fawad, sguardo fiero e inglese fluente - ma nell'agosto del 2005, mentre ero nella clinica del dottor Alberto Cairo ho incontrato Heidi Kuhn, la fondatrice di Roots of Peace”. Ahmad è uscito dall’ospedale con in tasca un biglietto per un sogno. Venti dollari al mese come stipendio se avesse accettato di fare l’allenatore di calcio. “Così mi hanno affidato 18 ragazzi, abbiamo ottenuto grandi risultati, fino al primo posto in campionato ora seguo con orgoglio anche la nostra squadra femminile”. Le sue ragazze lo guardano soddisfatte. “La cosa più bella che mi posso augurare? – sorride il mister che guarda lontano - Poter stringere un giorno la mano a Ronaldihno, appena posso cerco su Internet tutto ciò che riguarda lui e il Milan”. Le ragazze si allenano a Kabul, maglietta, pantaloni lunghi e capo coperto da una sorta di bandana. A proteggere il campo muri abbastanza alti da impedire la vista dei loro allenamenti ai conservatori più integralisti. I loro idoli sono Totti, Ronaldinho e Cristiano Ronaldo che la tivù satellitare ti porta in casa.
La sfida di Roya Roya, 17 anni, è veloce quanto i suoi occhi, ben segnati da una vezzosa passata di kajal. In campo è una promettente attaccante che indossa con orgoglio la maglia numero 9. Proprio poche settimane fa la nazionale femminile del suo Paese l'ha convocata per gli allenamenti, che si tengono tre volte la settimana. Un sacrificio per lei che abita sulle montagne intorno a Kabul e che viene avvertita del passaggio del pulmino della squadra da uno squillo a vuoto sul suo cellulare. "Io e la mia famiglia viviamo lontano dalla città da quando la nostra casa è stata distrutta dai Talebani. Non abbiamo acqua corrente, ogni giorno dobbiamo portarla con un mulo,– spiega – non avrei mai pensato di giocare a calcio, perché quando ero piccola vedevo mia sorella maggiore portare il burka tutto il tempo”. Roya scende in campo anche per dimostrare alle sue compagne di classe, poco convinte, che giocare all’aria aperta è di nuovo possibile anche a Kabul. “I luoghi sicuri sono ancora pochi, le mine sono ovunque e le famiglie non si lasciano convincere tanto facilmente a lasciar uscire i figli”. Massouda, 20 anni e lo sguardo velato di tristezza vive in un piccolo villaggio lontano dalla capitale.
Il suo amore per il calcio gli è costato più di un maltrattamento: il fratello non ha approvato la sua scelta e lo ha manifestato picchiandola pesantemente. Lei non si è arresa, continua a tirare calci e a mirare la porta avversaria. Sognando il gol. Alessandra Lotti- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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