Ecco Robicheaux. Un detective perso nel male della Louisiana

James Lee Burke ha creato un antieroe che cerca di sopravvivere alla violenza e al razzismo

Ecco Robicheaux. Un detective perso nel male della Louisiana

Tua figlia amoreggia con uno scrittore psicopatico, che frequenta gente ambigua, probabilmente connessa con mafiosi della Louisiana, simpatizzanti della Fratellanza ariana e con gente coinvolta in orrendi omicidi di giovanissime prostitute: tu cosa puoi fare perché un brandello di giustizia trionfi in questo invidiabile bailamme? Domanda impegnativa a fronte di una pessima situazione. Nella letteratura americana si aggira ormai da qualche decennio la figura insolita di un detective della Louisiana, Dave Robicheaux, che sempre più spesso si trova a confrontarsi con questi interrogativi improbabili in cui bene e male si sovrappongono fastidiosamente dentro la stessa quotidianità del protagonista, si mischiano con i suoi affetti e si amalgamano con le sue traballanti convinzioni personali e professionali.

La figura di Robicheaux, unica e sublime, l'ha creata James Lee Burke, 88enne scrittore texano pluripremiato, forse ancora poco noto ed amato nel nostro Paese. Nelle storie di cui è protagonista, vittima e carnefice (ormai siamo alla ventiquattresima: la prima, Neon Rain, è del 1987) Robicheaux conduce il lettore dentro ad un mondo inesplorato: marines reduce dal Vietnam, poliziotto francofono a New Iberia e New Orleans, cattolico (e questo non è un particolare insignificante), ex-alcoolizzato e pieno di incubi da coscienza turbata da spettri del passato e dai troppi morti incontrati nella quotidianità, il detective creato da Burke si staglia come un eroe biblico sulla scena di un mondo che si trascina nella tragicità del male. La divisione tout court tra buoni e cattivi non regge nelle sue vicende, perché il male (sia quello banale che quello efferato) è a portata di tutti. La maledizione del peccato originale e la possibilità di una redenzione: ogni libro di Burke sembra domandarsi come si mettono insieme le due cose in un millennio in cui si è persa la gentilezza, la bellezza, il rispetto, l'umiltà, il senso chiaro di giustizia, l'amore, la fede?

Esce dunque in questi tempi per Jimenez Edizioni - che da alcuni anni ha il pregio di scommettere su un autore prolifico, ma scarsamente sostenuto presso il pubblico italiano - Arcobaleno di vetro, un titolo uscito originariamente nel 2010, diciottesimo volume della saga di Robicheaux. Il romanzo prende le mosse da autentici fatti di cronaca noti negli States come i "Jefferson Davis 8", e che si riferiscono agli omicidi di otto giovani donne della Louisiana avvenuti tra il 2005 ed il 2009. Polizia, detective, FBI, media americani hanno scandagliato le vicende di questi assassinii, ma senza cavarne un solo punto di chiarezza. Su questo background storico, Burke innesta il suo racconto, con Robicheaux ed il fido amico Clete Purcel (i due personaggi erano insieme a Saigon, poi ne hanno vissute di cotte e di crude in un territorio geografico ed umano a mezza via tra legalità e criminalità, affogando nel Jack Daniels e nel Southern comfort ogni pessimo ricordo ed ogni esame di coscienza) costretti a immergersi ogni giorno di più in un ambiente in cui papponi e trafficanti di crack, scrittori e produttori cinematografici con troppi scheletri nell'armadio, neonazisti e ricche famiglie decadute non fanno sconti a nessuno.

Risse, cadaveri putrefaffi, tramonti mozzafiato sull'oceano, autostrade e paludi, un erotismo sempre presente ma mai squadernato, citazioni musicali cajun e country'n'western: gli ingredienti della narrazione di Burke sono il contesto emotivo di un progressivo precipitare nel delirio, da cui alla fine si emerge solo per intuizioni emozionali e per disperato senso di giustizia, visto che la sua scrittura noir non procede per svelamenti razionali bensì per apparizioni e trasfiguramenti.

C'è sempre un mistero nei libri di James Lee Burke (che da alcuni anni ha abbandonato la Louisiana per andare a vivere a Missoula nel Montana, terra di infinite praterie) ed il suo svelamento non è mai matematico o positivista. La sua è una scrittura fascinosa e mitizzante, carnale e poetica, che descrive la voluttuosità delle bouganville fiorite e poco dopo immerge la mano nella carne viva di omicidi e di stupri. Il cattolicesimo di Robicheaux emerge come provocazione: il detective si circonda di amici preti, confessa i suoi deliri, chiede perdono per il sangue versato, domanda luce per un mondo che ha dimenticato la salvezza e dove gangsters, violentatori e corrotti sembrano trionfare. "Perché tutto questo?" si domanda Robicheaux, trasferendo il dizionario e la struttura del noir sul piano delle domande ultime. Qui sta anche il segreto di questo autore: Burke ha una scrittura mozzafiato ed una visione provocatoria ed enigmatica della letteratura. Non a caso si è portato a casa un Hammet Prize (nel 94 per il suo capolavoro, Dixie City Jam) e tre Edgar Award, l'ultimo dei quali ha premiato un suo romanzo del 2023, Flags on the Bayou, un affascinante affresco storico dedicato alla Louisiana della Guerra di Secessione, volume in cui i buoni ed i cattivi, i sudisti e gli yankee partecipano della lotta tra vero e falso, tra peccato e giustizia, tra salvezza e perdizione, ma senza contrapposizioni manichee.

Non a caso i riferimenti ultimi di questo autore, in cui spesso ricorrono i tratti etico-morali di Cormac McCarthy, sono Dostojevsky e Melville, Flannery O'Connor e Conrad, Faulkner e Steinbeck. Il noir, in fin dei conti, non è mai stato così esistenziale. E con Burke sconfina, addirittura, nel teologico. Ma con tanto sangue di contorno.

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