Cultura e Spettacoli

Ecco Steve Bravi sorpresa «swing»

da Milano

Certe volte basta la voce. Poi uno può scegliersi il repertorio che vuole, anche lasciarsi andare anche allo swing di maniera come in questo caso, ma le qualità alla fine saltano fuori. E così capita a Steve Bravi, un tenore milanese di lunga esperienza che finalmente ha trovato il microfono giusto e ha appena pubblicato il ciddì Standards (edizioni Map Musicisti Associati Produzioni) per bussare alla porta del successo. In sette brani - che vanno da Cry me a river fino a Speedy Gonzales passando anche per Hello dolly, That’s life e Summertime, la voce di Steve Bravi si impenna, si irrobustisce, indugia sui toni più celebri dello swing mondiale con un unico scopo subito raggiunto: farsi notare, trasmettere calore come di solito riescono a fare solo i grandi interpreti. «Ho sempre avuto questa passione per il canto, da ragazzo ho anche vinto un concorso internazionale per cantare i grandi successi di Elvis», spiega lui che in realtà si chiama Stefano, quarantenne intimidito e caparbio, arrivato a questa grande sfida dopo anni di gavetta in giro per il mondo. Dopo aver imparato a suonare la batteria jazz, inizia giovanissimo a cantare. Il maestro Arrigo Pola, che a Modena insegnò i primi fondamentali a Luciano Pavarotti, lo ascoltò e quasi gli impose di diventare tenore. Così fece.
Steve Bravi ha poi affinato la sua tecnica con Rodolfo Celletti, con Manuel Pena a Città del Messico («dove ho trascorso quasi un anno», ricorda Bravi) mentre altri maestri, come Walter Baracchi e Adalberto Tonini, lo hanno seguito per aiutarlo ad affinare la conoscenza dello spartito. In breve ha sviluppato un repertorio importante, da Rigoletto alla Traviata, da Don Giovanni a Madame Butterfly, che ha cantato in giro quasi ovunque, da Barcellona a Cuba, da Londra a Los Angeles. Mentre cresceva come tenore, ha continuato ad esplorare il repertorio «leggero», esibendosi anche nei musical Evita e West side story. Insomma, un artista poliedrico che all’irruenza della voce è finalmente riuscito a sposare la padronanza e la tecnica. E così in questo ciddì Standards spiccano i toni confidenziali di Summertime e quelli ombrosi e addolorati di Cry me a river accompagnati da arrangiamenti orchestrali che lo lasciano sempre a suo agio. E forse è proprio in questa sua nonchalance si trova una chiave per il successo.

Steve Bravi ha la voce in regola per diventare una sorta di Tom Jones italiano, capace senza problemi di domare ogni tipo di repertorio.

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