Ecco tutti gli imbrogli dei giudici quando c’è di mezzo Berlusconi

Ieri il caso Mondadori. Finivest si ribella alla sentenza Cir. Ma da 17 anni le Procure tengono in scacco il premier in mille modi. Ecco come: dall'uso delle intercettazioni, agli sprint forzati per arrivare al terzo grado di giudizio in breve tempo, fino al taglio dei testimoni

Ecco tutti gli imbrogli dei giudici  
quando c’è di mezzo Berlusconi

Un precedente della Cassazione che non c’è. Sarebbe l’ultimo strappo alle regole nella lunga guerra fra il partito dei giudici e il Cavaliere. Questo precedente fantasma sorregge la sentenza che ha condannato la Fininvest a pagare la cifra monstre di 564 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti. Ed è su questo passaggio che Marina Berlusconi chiede l’intervento del ministro della giustizia e del procuratore generale della cassazione, titolari dell’azione disciplinare. È una storia che si ripete da diciassette anni, da quando è iniziato l’accerchiamento al Cavaliere. L’assedio non è mai stato tolto e anche negli ultimi mesi, addirittura negli ultimi giorni, pm e giudici hanno forzato la mano. Sarà un caso, ma quando c’è di mezzo il Cavaliere, o le sue aziende, o i suoi amici, succede di tutto: processi che corono come non si è mai visto a Palazzo di giustizia, testi delle difese tagliati a raffica, intercettazioni a strascico col risultato di captare i dialoghi del Cavaliere che non dovrebbero essere ascoltati, un gioco disinvolto sul tema della competenza. Il risultato è sempre lo stesso: Berlusconi resta sotto attacco.

SPRINT PER LA MINETTI
Più che un processo sembra una gara di velocità. Nicole Minetti, Lele Mora e Emilio Fede vengono rinviati a giudizio 48 ore fa nel troncone numero due del caso Ruby. Ordinaria amministrazione, penserà qualcuno. E invece no: perché la prima udienza viene fissata per il 21 novembre. Una data vicinissima. Strano, perché di solito i tempi di rullaggio sono molto più lunghi.

TRE GRADI IN UN ANNO
Del resto con il Cavaliere e i suoi co-imputati la procura mette da sempre il turbo. Ilda Boccassini, pur di sbrogliare la matassa delle accuse, arriva a proporre le udienze anche di domenica. Il tentativo non riesce, ma la giustizia italiana non si arrende: nel primo troncone del caso Mills - con il Cavaliere c’è sempre un raddoppio dei capi d’accusa - arriva a bruciare le tappe con una progressione spettacolare. Il verdetto di primo grado contro David Mills è del febbraio 2009 e le motivazioni sono pronte in aprile; poi, con una straordinaria accelerazione si riesce a fissare e celebrare l’appello in una manciata di mesi e per il febbraio successivo, 2010, eco pronta anche la Cassazione che però non riesce ad evitare la prescrizione. In ogni caso, il rush è da manuale.

IL TAGLIO DEI TESTI
Correre. Correre è l’imperativo. E allora anche i testi possono essere sfoltiti. Nel solito processo Mills la corte ha deciso di eliminarne undici, ritenendoli in qualche modo superflui. L’avvocato Nicolò Ghedini protesta: «Per noi è impossibile difendersi. Altro che giusto processo, questo è l’impossibile processo».

INTERCETTAZIONI
Il premier, coperto dall’immunità, non può essere intercettato come tutti i parlamentari. Ma ad ogni male c’è un rimedio e la procura ascolta chi gli sta intorno. Il resto lo fa una giurisprudenza favorevole che modella a vantaggio delle procure la norma. Risultato: ecco disponibile il dialogo in cui il Cavaliere afferma che «l’Italia è un Paese di m...» e poi l’altro in cui consiglierebbe a Lavitola di rimanere all’estero. C’è poi il nastro in cui il Cavaliere si lascerebbe andare sulla Merkel: un testo che non viene pubblicato ma continuamente evocato. È uno stillicidio; del resto solo a Bari sono state compiute centomila intercettazioni. I frammenti delle conversazioni del premier vengono anticipati da questo o quel giornale, poi esce una seconda versione, meno traballante, che corregge la prima ma ne amplifica l’effetto. In conclusione, spezzoni delle chiacchierate del Cavaliere vengono pubblicati in tempo quasi reale giorno per giorno.

LA COMPETENZA
È un altro tasto dolente. Ma lo è ancora di più nell’inchiesta su Gianpi Tarantini e le sue escort. Napoli apre un procedimento sul presunto ricatto gestito dalla coppia Tarantini-Lavitola ai danni del Cavaliere. La competenza di Napoli? A occhio non si vede, ma i pm provano a radicarla, come si dice con linguaggio tecnico, chiedendo al Cavaliere di venire a testimoniare urgentemente. Lui si tiene alla larga, loro insistono e minacciano, addirittura, l’accompagnamento coatto. Cose mai viste. Finché l’indagine nei giorni scorsi, viene spostata, come era facilmente prevedibile, a Roma. Per poi sdoppiarsi con un nuova, incredibile torsione: a Roma il Cavaliere resta vittima di un ricatto, a Bari invece diventa un depistatore che spinge Tarantini a mentire. Insomma, Berlusconi è contemporaneamente artefice e vittima di un’estorsione. E tutti alla fine sono competenti ad aprire stralci di indagini su di lui: Bari, Roma, e pure Napoli che tiene comunque una scheggia dell’inchiesta su Lavitola.

IL CALENDARIO
Il processo Mills è una palestra per i cultori del diritto. In aula, il pm, alle prese con la solita mannaia della prescrizione, prova ad allungare i tempi della giustizia giocando con il reato: la corruzione non va calcolata sul calendario considerando il giorno in cui la presunta mazzetta sarebbe arrivata sui conti dell’avvocato Mills.

No, troppo semplice, il conto alla rovescia deve scattare nel momento in cui Mills ha prelevato i soldi dal conto e li ha spesi in titoli di un fondo off-shore. Davvero un’interpretazione temeraria. Che la corte boccia. Ma comunque uno dei tanti passaggi dell’assedio al Cavaliere.

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