«Come si sente il mio ex ministro?». «Come un transatlantico parcheggiato in una pozzanghera». La battuta è di un portavoce che descrive così il faticoso rientro nei ranghi parlamentari del suo assistito. Sì, perché anche se in pochi sono disposti ad ammetterlo, l’uscita dai palazzi del governo è dura per tutti. E lo stress da perdita di potere è dietro l’angolo, conseguenza del brusco cambiamento della propria vita, soprattutto per quanto riguarda il proprio ruolo e l’immagine sociale. Come stanno affrontando gli ex ministri del governo Berlusconi la nuova stagione da parlamentari semplici o disoccupati di lusso?
La panoramica non può che iniziare dall’ex premier. Chi lo frequenta sostiene che Silvio Berlusconi non ha subito il trauma da sfratto forzato da Palazzo Chigi. «È di buon umore», raccontano. Anche i ritmi non sono cambiati, come ha confermato qualche giorno fa Mariano Apicella al sito Linkiesta. «È più sereno, più sollevato, come se si fosse tolto un peso. Organizza cene con politici e imprenditori e se c’è da cantare una canzone non si tira indietro». Franco Frattini continua a svegliarsi alle 7, a scorrere la rassegna stampa appena svegliato e a convocare riunioni di buon mattino. La scorsa settimana è stato avvistato in Commissione Esteri in una seduta in cui erano presenti soltanto due deputati. Giorgia Meloni guida la sua Mini (come faceva da ministro), si collega in chat con l’iPhone con il suo vecchio staff e riempie la sua agenda di appuntamenti in giro per l’Italia per la presentazione del suo libro Noi crediamo. «Non posso certo dire che mi sto riposando. Rimpianti? Be’, mi piacerebbe che qualcuno del nuovo governo mi dicesse a chi finirà la mia delega e quale destino avranno i provvedimenti che avevamo messo in campo. Mi dispiace anche che in questo governo non ci sia un ministro che non sia in età pensionabile. Io comunque, anche in questa stagione che non apprezzo, mantengo intatto il gusto e l’amore per la politica». Renato Brunetta si dedica alla sua attività di professore e alla sua Free Foundation. E di recente a Verona, al convegno dei Popolari Liberali, ha ammesso: «Dobbiamo ancora elaborare il lutto». Per Mariastella Gelmini «la qualità della mia vita è molto migliorata e ora ho più tempo per mia figlia». In realtà si spende sul territorio in vista dei congressi lombardi. Manifesta imbarazzo quando la chiamano ancora ministro. Confessa che le sarebbe piaciuto completare i provvedimenti sul reclutamento insegnanti e sull’Accademia di Brera. E aggiunge di sentirsi «sollevata» quando vede gli studenti in piazza, «perché, dico, stavolta non tocca a me, se ne occupi Profumo». Giulio Tremonti resta defilato, si riposa nella sua Lorenzago, si cura una frattura a un tallone causata da una caduta da uno sgabello (usato per raggiungere un volume della sua libreria) e lavora alla stesura di un libro sulla genesi della crisi economica. Maurizio Sacconi non vuole soffermarsi sul passato. «Giro l’Italia a presentare il mio libro-manifesto Ai liberi e forti. Il rimpianto è di non aver completato la revisione dell’articolo 18». Stefania Prestigiacomo si dice soddisfatta per la nomina di Corrado Clini perché rappresenta un filo di continuità con la sua gestione e non una damnatio memoriae. E scherza con il vecchio staff sugli orari giapponesi che il ministro imporrà loro. Raffaele Fitto fa il duro: «Nessuna depressione. Ho perso un’elezione in Puglia in cui partivo come favorito, figuriamoci se mi abbatto perché costretto a lasciare un ministero. Il mio impegno? Direi: come prima, più di prima». Mara Carfagna torna spesso a Salerno, non si è ancora abituata ai lunedì e venerdì liberi in cui si concede qualche puntatina in palestra (la stessa frequentata da Walter Veltroni), parla con la Fornero che ha preso le sue deleghe e le ha fatto i complimenti per il lavoro svolto e continua a occuparsi dei temi ministeriali, in particolare del Garante per l’Infanzia. Altero Matteoli si sposta tra il Senato e la sua Fondazione, esce presto la mattina e si dedica all’organizzazione territoriale del partito. «Lasciare l’incarico non fa piacere a nessuno ma si sa che viviamo nella precarietà». Ignazio La Russa continua a correre da una parte all’altra della penisola, utilizza la stanza da coordinatore del partito. E ogni tanto si concede un libro, l’ultimo è Il raggio d’ombra di Giuseppe Pontiggia. Roberto Maroni, con il suo organo Hammond, ieri sera ha tenuto un concerto a Varese con la sua band Distretto 51. E fa sapere di sentirsi sollevato e battagliero, come il suo collega Roberto Castelli. Gianfranco Rotondi la butta sull’ironia: «Roma è abituata a veder passare i Papi, figuriamoci un ex ministro per l’Attuazione del Programma. E poi per me non è cambiato niente davvero. Non ho mai preso un volo di Stato. L’auto di servizio l’ho usata 18 volte in 3 anni, al lavoro ora come prima vado a piedi. Ho fatto mia la lezione di Andreotti, quando sei al governo vivi come se non fossi al potere. Ho avuto uno staff di prim’ordine che avrei voluto segnalare al mio successore. Visto che un successore non ce l’ho, l’ho segnalato a tutti». Giancarlo Galan riflette in Veneto - a Roma non ha un ufficio, non essendo parlamentare - su come «riprendere le sue battaglie liberali». Roberto Calderoli rivendica in questa nuova stagione «un entusiasmo e un impegno da debuttante». Dopo undici anni di incarichi, tra cui quello di vicepresidente del Senato, è tornato a fare il senatore semplice. Non ha saltato una seduta - «controllare i tabulati per credere» - ed è impegnato a preparare trabocchetti d’aula. Francesco Nitto Palma resta fedele al suo low profile: «Tutti noi siamo eletti per servire il Paese e dove lo servi non conta. Il rimpianto è per i dossier che avrei voluto completare, ad esempio la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e lo svuotacarceri. Ma il ruolo conta per la vanità, non per la personalità. Quella o ce l’hai o non te la danno certo i galloni da ministro». Un pensiero va anche al tempo libero. «Ascolto musica classica e rileggo un libro sulla beat generation americana o pagine di letteratura anarchica russa. Sto anche ricominciando a programmare il famoso viaggio in Polinesia che tanto fece discutere al momento della mia nomina». Michela Vittoria Brambilla è attivissima nelle sue battaglie animaliste. Ha denunciato alla Procura e ai Nas il canile-lager Green Hill di Montichiari (Brescia), l’ultimo allevamento in Italia di cani Beagle destinati alla vivisezione, e si batte con il movimento fondato con Umberto Veronesi «La coscienza degli Animali» contro le pellicce, ottenendo grandi consensi su Facebook. Paolo Romani «denuncia» la sua felicità per il parziale ritorno al mestiere di padre. «Sono contento di tornare ad avere un po’ di tempo per la mia bambina di cinque anni. Gli ultimi mesi sono stati faticosissimi con la costante presenza in Parlamento che mi ha costretto a concentrare le missioni all’estero con le aziende italiane nei weekend». Ha comunque stabilito un ottimo rapporto di collaborazione con Passera. E unico tra gli ex ministri, ha ottenuto dall’ex banchiere un incarico ufficiale per seguire il dossier degli interessi commerciali italiani in Iraq e Afghanistan. Una partita che in Iraq sfiora i 15 miliardi di euro di giro d’affari. Anna Maria Bernini ha visto la sua avventura ministeriale scorrerle via in tempi brevissimi. «Il mio è un cambiamento light. Nei miei 112 giorni da ministro non ho certo smarrito la mia dimensione parlamentare. In ogni caso è stata un’esperienza straordinaria in un Dipartimento ricco di eccellenze. Un lavoro nel quale sono state poste le basi per progetti importanti che sono sicura che Moavero - che conosco e apprezzo - saprà portare a compimento». Saverio Romano dà un consiglio agli ex colleghi: «La cosa migliore è un giro di defaticamento. Non bisogna collocarsi nella commissione più vicina al mandato ministeriale. Bisogna guardare oltre perché la nostalgia è la più bella delle malattie ma può diventare depressione». La sua strategia di rientro nella «vita normale» è figlia anche di alcuni accorgimenti. «Non avevo le vertigini da ministro e non mi sento al pian terreno adesso.
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