Oltre 13mila lobbisti: cosa succede in Ue

Oltre 13mila i lobbisti all'Europarlamento e alla Commissione. Urge distinguere i professionisti da chi si improvvisa e rischia di creare problemi come il Qatargate

Oltre 13mila lobbisti: cosa succede in Ue

Diciannove dipendenti delle lobby per ogni parlamentare europeo: Bruxelles è un crocevia di portatori d'interesse di aziende, gruppi di pressione e società finanziarie. Sono 13mila i lobbysti iscritti al registro ufficiale dell'Unione Europea, diciannove volte il numero totale di parlamentari, che assomma a 705.

Lo scandalo Panzeri-Kaili, in quest'ottica, rischia di gettare un'ombra sinistra sul lavoro dei professionisti delle pubbliche relazioni che sono, legittimamente, portatori di interessi. Più che di lobbying, nel caso, qualora gli addebiti venissero confermati, dovremmo parlare di una triste storia di corruzione e degrado morale, come del resto ha sottolineato anche il Commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni. Ma lo scandalo rischia di gettare un'ombra sinistra sull'intera galassia delle lobby. Al cui interno - oltre a Panzeri - si trovano numerosi ex esponenti delle istituzioni.

Il Corriere della Sera ricorda che "ben 485 ex parlamentari oggi lavorano per gruppi di interesse. ben 485 ex parlamentari oggi lavorano per gruppi di interesse" e molti personaggi di spicco delle istituzioni del passato hanno oggi incarichi importanti in grandi multinazionali. José Manuel Barroso, ex presidente della Commissione, è da anni un top manager di Goldman Sachs. L'ex Europarlamentare e vicepremier britannico Nick Clegg è dal 2018 vicepresidente di Facebook. E ci sono anche molti casi di revolving doors tra apparati amministrativi che gestiscono cause o processi decisionali e aziende, sia di beni e servizi che di consulenza, che sostengono gruppi di pressione: nel 2021 ad esempio, Nick Banasevic, un altro alto funzionario coinvolto in cause contro Google e Microsoft, ha lasciato l'UE per unirsi a Gibson Dunn, un'importante impresa legale. L'ex commissario olandese Neelie Kroes, secondo gli Uber Files, avrebbe rappresentato la compagnia di trasporto privato nella fase di diciotto mesi compresa tra la fine del suo mandato e il limite legale segnato dalla Commissione per assumere un ruolo nel privato.

Il Financial Times riporta che solo sul fronte consulenziale questo problema è stato affrontato: "Bruxelles sta restringendo la possibilità per i funzionari dell'Ue che lavorano per le imprese del settore privato sfruttando le porte girevoli tra l'istituzione e gli studi legali e le società di consulenza". Ma in generale il mondo del lobbying non ha regole certe e questo, accanto a professionisti trasparenti, crea un mondo di mezzo di portatori d'interesse che va di pari passo con l'aumento delle agenzie e degli apparati, oltre che delle decisioni strategiche prese dall'Ue.

Chi lavora a Bruxelles ricorda la pioggia di audizioni avvenute ai tempi delle discussioni sulla Gdpr, quando le compagnie del big tech furono le più critiche verso la regolamentazione europea. L'European Chemical Industry Council è oggi con 9 milioni di euro il primo investitore nel lobbying presso la Commisisone, seguito da Google con 6 e Microsoft con 5. Facebook e ExxonMobil sono a 3 milioni a testa. Mohammed Chahim, europarlamentare socialista, ha sottolineato come a giugno si fosse intensificato il lobbying dei big dell'auto per fermare l'opzione del passaggio all'elettrico entro il 2035. E di recente, nota Politico, molti parlamentari ritengono che "hanno ingannato i legislatori europei durante i negoziati su due importanti leggi tecnologiche dell'UE, il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), nascondendosi dietro altre organizzazioni: lobby che presumibilmente rappresentano piccole e medie imprese, a cui hanno fornito finanziamenti e istruzioni. Nel frattempo, le lobby hanno finto di essere i rappresentanti ufficiali delle Pmi mentre allo stesso tempo promuovevano e difendevano gli interessi commerciali delle Big Tech", senza rivelare le loro connessioni. Un altro esempio del fatto che non è il lobbying il problema, ma l'assenza di regolamentazione verticale e di paletti precisi sui passaggi di campo che, per ora, riguarda solo nove agenzie dell'Ue.

Le regole sul conflitto d'interesse esistono: basterebbe applicarle. E distinguere i professionisti degli affari istituzionali dagli arrivisti che lucrano sul contatto diretto tra esponenti istituzionali e settore privato.

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