Senza nulla togliere al ruolo centrale del sistema bancocentrico, merita di essere sottolineato il buon risultato ottenuto dai «Pir», i «Piani individuali di risparmio». Una volta tanto abbiamo fatto nostra una formula che in Paesi come Francia, Regno Unito e Stati Uniti funziona eccome. Questa modalità di investimento ha consentito di iniettare denaro fresco nel mercato a vantaggio delle pmi, storicamente sottocapitalizzate e meno facilitate ad accedere al credito. I risparmiatori (il Pir vale solo per le persone fisiche) hanno accolto favorevolmente la proposta gestita per lo più da società specializzate (Sgr), consapevoli che la sottoscrizione diventa conveniente se il denaro resta investito per almeno cinque anni.
Perché solo così è esente dall'aliquota del 26% sul capital gain. L'obiettivo principale dell'intera operazione è ambizioso e condivisibile: con la sopraggiunta liquidità si convincono sempre più piccole e medie imprese a quotarsi in Borsa, almeno nel segmento Aim, quello che le tiene insieme per profilo e spinta all'innovazione. Da antico sostenitore del libero mercato, per me unico e vero giudice, guardo con simpatia e attenzione a questo sviluppo potenziale.
Ma come la mettiamo con le croniche difficoltà di accedere a Piazza Affari? Permane una burocrazia asfissiante; e i costi legati alla quotazione risultano francamente eccessivi (con la legge di Bilancio 2018, nel caso di ottenimento dell'ammissione alla quotazione, è previsto per le pmi un credito di imposta del 50% dei costi di consulenza sostenuti per l'operazione di Ipo e questo fino al 31 dicembre 2020. Piuttosto che niente è meglio piuttosto).
Comunque,
davanti a questi ostacoli, qualsiasi ventata di positività rischia di essere vanificata. Semplificare diventa la prima urgenza. Regole certe, chiare, procedimenti rapidi e pochi passaggi. Si può fare?www.pompeolocatelli.it
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