Addio a Grande Stevens, fu al vertice di Fiat e Juventus

Protagonista di importanti operazioni nella finanza italiana era considerato un grande giurista

Franzo Grande Stevens
Franzo Grande Stevens
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Franzo Grande per cognome di padre e Stevens, di madre, ha chiuso una vita lunghissima all'età di anni 95. È stato un silenzioso padrone di moltissime cose legate a Gianni Agnelli e a tutto ciò che questo comportava in una Torino diversa da quella successiva alla scomparsa dell'Avvocato e di suo fratello Umberto. Era di origine levantina, tra Sicilia e poi Campania con un affresco inglese su tela, stile, eleganza, cinismo, perfidia, quello che serve ad un uomo che si occupa di legge e di affari. Ha saputo gestire patrimoni illimitati, è stato geniale consulente dei Lavazza e dei Ferrero su alcuni prodotti commerciali (da Dec a Dek una consonante superò contenziosi legali), Mon Cherì era l'insegna di un bar, e dunque che suggerì l'avvocato a monsù Ferrero? Comprarsi il locale e lanciare il dolcetto liquoroso. Allo stesso Ferrero consigliò poi di produrre le mentine a Portorico, visti i dazi doganali Usa ante Trump. Ma non cera soltanto bella gente nella sua agenda, gli toccò la difesa di Renato Curcio, roba di terrore puro ma il brigatista rivoluzionario si oppose perché la loro legge non prevedeva avvocati, erano loro stessi a difendersi così come ad uccidere. Note di cronaca lontana, il ragazzo venuto dal sud alloggiava in un ammobiliato in via Cibrario, Torino era nebbiosa, la Feroce, nel senso di Fiat, fremeva di tensioni. Aveva 28 anni quando ricevette una telefonata dal segretario di Gianni Agnelli, l'Avvocato con la A maiuscola necessitava di un avvocato civilista con la minuscola, Franzo Grande Stevens aveva referenze eccellenti e quel nome made in Uk affascinava il patron delle automobili. Per la cronaca Harold, lo zio, fu la voce storica di radio Londra. Agnelli chiese a Stevens di agevolare la vendita di macchine utensili agli americani, una pratica leggera con tanto di cliente alle spalle. Qui comincia l'avventura, Agnelli godeva a dialogare con i propri dipendenti, fossero quadri della Fiat, avvocati, calciatori, giornalisti, così con Franzo Stevens la comunanza fu sempre più forte grazie al silicone garantito da Gianluigi Gabetti che l'Avvocato conobbe a New York. I due, Franzo e Gianluigi, diventarono i gemelli dell'impero. Torino significò lo studio di Paolo Greco, la cui figlia Giuliana diventò sposa di Franzo nel 1954, con rito civile celebrato da Emilio Bachi, assessore repubblicano, del partito di La Malfa s'intende, lo stesso cui aderì Susanna Agnelli. Altre caselle del collage, il terrorismo di cui sopra sollecitò alla famiglia di traslocare in Valle d'Aosta, Courmayeur diventò la succursale di Torino ma gli affari si moltiplicavano nello studio storico di via Del Carmine. Venne anche la presidenza della Juventus, dal 2004 al 2006 e quelle furono due stagioni che sarebbe meglio cancellare e non dalla cronaca della squadra ma dalla storia di chi approfittò della scomparsa di Gianni e Umberto Agnelli, per gestire totalmente il patrimonio, compresa la crescita imprenditoriale del club calcistico, storico punto di riferimento dei fratelli però passato alla gestione di Antonio Giraudo, ritenuto pericoloso competitor interno. Fu così che Grande Stevens e Gabetti accompagnarono al patibolo l'intera squadra.

Ma già alcuni mesi prima che il caso esplodesse, Grande Stevens a domanda precisa di un cronista sugli eccellenti risultati economici di Juventus grazie ai suoi dirigenti, replicò: «Nessuno è per sempre». Sentenza senza appello. La storia ha poi detto che lo stesso criterio adottato verso vari dirigenti del mondo Fiat è stato poi utilizzato nei confronti dello stesso Franzo Grande Stevens.

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