Economia

Gli Agnelli pronti a vendere l'Espresso

Da Iervolino manifestazione di interesse per il settimanale. Sinistra sulle barricate

Gli Agnelli pronti a vendere l'Espresso

Il gruppo Gedi «targato» Exor è pronto a tagliare il cordone ombelicale o, meglio, le proprie radici. La società guidata dall'ad Maurizio Scanavino sta valutando una manifestazione d'interesse per l'Espresso presentata da Bfc, editore di Forbes Italia e Bluerating controllato con il 51% da Danilo Iervolino. L'imprenditore, dopo aver ceduto per circa un miliardo Unipegaso al Fondo Cvc, sta diversificando il portafoglio e, oltre a Bfc, ha acquistato la Salernitana Calcio per 10 milioni.

Il discorso è ancora in fase embrionale. In passato erano state ricevute due proposte poi non concretizzatesi. Ma Gedi, così come ridisegnata dal presidente John Elkann, è proiettata verso un futuro costituito da un'integrazione sempre più stretta tra carta stampata (la Repubblica, La Stampa, Secolo XIX), le radio (Deejay, Capital, m2o) e il digitale (vortali Internet, podcast, multimedia). Non a caso le tre realtà, oltre al ramo pubblicitario Manzoni, costituiscono le quattro business unit in cui il gruppo è stato riorganizzato.

L'Espresso, fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, non rientra nel core business. È infatti confluito nella controllata Gps spa insieme alle attività corporate e alle testate «di nicchia» come Limes, Le Scienze e National Geographic. Un destino per certi versi paradossale se si ricorda che la Repubblica è nata nel 1976 dall'Espresso e che le due testate assieme hanno sempre puntato a rappresentare, per dirla con Scalfari, «una certa idea dell'Italia», formalmente liberal ma in realtà cercando di esercitare una moral suasion (e anche qualcosa in più) sulla sinistra. Finché il gruppo Cir, il suo deus ex machina Carlo De Benedetti e il principe Carlo Caracciolo (cognato dell'avvocato Agnelli) erano soci di maggioranza questa formula economico-politico-finanziaria è rimasta in piedi. Dal 2020, cioè da quando Exor controlla l'89,6% di Gedi, la musica è cambiata.

Il presidente John Elkann ha la passione dell'editoria (Exor ha il 43,3% del capitale con il 20% dei diritti di voto dell'Economist) ma la abbina a una ratio manageriale. E nel caso di Gedi management fa rima con turnaround: nel 2020 Gedi ha conseguito ricavi per 533 milioni (-12% annuo) con un ebit di -12 milioni e una perdita di 166 milioni causa svalutazione di avviamenti per 82 milioni. Nel primo semestre 2021 (i dati annuali saranno comunicati il 24 marzo) i ricavi sono stati pari a 248 milioni con una perdita di 11 milioni, il valore di libro è stato limato a 194 milioni a fronte di un Nav di 207 milioni (inferiore a quello dell'Economist di 293 milioni).

La disponibilità al dialogo non manca e l'acquirente potrebbe continuare a beneficiare temporaneamente dell'abbinamento obbligatorio domenicale con Repubblica. Ma l'effetto annuncio è stato devastante per tutta la comunità politico-culturale di centrosinistra. Il direttore dell'Espresso, Marco Damilano, si è dimesso con effetto immediato (lo sostituirà il vice Lirio Abbate), rifiutando un «salvacondotto» per Repubblica in polemica con «la scelta scellerata» di Gedi. La redazione ha consegnato al cdr un pacchetto di 5 giorni di sciopero. Pd, Leu, Iv e Azione chiedono al governo di intervenire.

Il loro sgomento è comprensibile: è come togliere una foto all'album di famiglia.

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