Portovesme 0rischia la stessa fine di Termini Imerese? Anche per il sito del Sulcis, chiuso dalla multinazionale statunitense dell'alluminio Alcoa, è venuto meno un potenziale partner, la svizzera Glencore. La carta su cui governi e sindacati avevano puntato di più non è risultata vincente. Un po' come è accaduto con la Dr Motor per l'ex fabbrica siciliana della Fiat.
Sicuramente formale (se non un po' teatrale) la scelta di Glencore che ha inviato una lettera al ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, e al governatore sardo Cappellacci per ufficializzare un passo indietro che con il passare dei giorni appariva sempre più scontato. La rinuncia all'acquisizione dell'impianto, si legge nella missiva, è legata al costo dell'energia. Gli svizzeri, infatti, avevano posto una conditio sine qua non per effettuare l'investimento: spuntare un costo dell'energia non superiore ai 25 euro per magawattora nei prossimi dieci anni. «Desideriamo sottolineare che con l'applicazione dei meccanismi illustrati arriviamo a un costo finale a 35 euro/megawattora, prezzo che si è rivelato insufficiente a garantire anche la continuità produttiva di Alcoa», ha scritto il manager Daniel Goldberg. Glencore, preso atto dell'impossibilità di ottenere l'ok della Commissione Ue a un prezzo dell'elettricità «di favore» (sarebbe scattata la procedura contro l'aiuto di Stato-ndr), si è ritirata dalla trattativa perché «l'attuale gestore dell'impianto, alle stesse condizioni, accumula perdite rilevanti che hanno portato alla decisione di chiudere lo stabilimento».
Il primo effetto, tuttavia, sarà negativo: da domani saranno licenziati 67 lavoratori interinali e 20 impiegati tramite appalti mentre altri 180 verranno licenziati entro ottobre. I 500 dipendenti conserveranno il posto fino al 31 dicembre. Martedì sono in programma nuovi incontri tra azienda, sindacati e Regione Sardegna per cercare una soluzione che consenta di estendere la cassa integrazione anche ai lavoratori delle imprese d'appalto.
Intanto, il ministro dello Sviluppo, Passera, ha gettato acqua sul fuoco. «Le trattative per Alcoa non sono fallite: una delle aziende interessate si è detta disponibile solo con costi dell'energia che non sono né quelli di mercato né quelli autorizzati dalla Ue. Ci sono fortunatamente altri, continueremo a cercarli», ha tagliato corto, alludendo agli altri potenziali acquirenti. Nelle scorse settimane, infatti, sono emersi i nomi della svizzera Klesche, della torinese KiteGen Research (che utilizzerebbe energia eolica) e di un gruppo cinese. Circostanza ricordata anche dal sottosegretario Claudio De Vincenti: «Ci sono altre tre aziende che hanno formalizzato una loro proposta, che il governo sta vagliando attentamente». Ma il tempo che passa rende più difficile trovare una soluzione.
Un po' come sta accadendo a Termini Imerese. Anche alle porte di Palermo i 2.200 operai Fiat e dell'indotto stanno attendendo un «cavaliere bianco» che possa evitare i licenziamenti collettivi. A fine dicembre scade la cassa integrazione, ma le trattative per la cessione dello stabilimento sono bloccate. Venerdì prossimo ci sarà un nuovo tavolo per lo stabilimento di Termini, nel quale verranno date informazioni ai lavoratori e alle istituzioni sullo stato del lavoro nell'ex stabilimento Fiat. Anche in questo caso il sottosegretario allo Sviluppo, De Vincenti, è colui che ha l'ingrato compito di togliere le castagne dal fuoco per conto del superministro Passera. L'esecutivo è alla ricerca di «interlocutori importanti nel settore dell'automobile», aveva detto il sottosegretario.
Ma anche il patron di Dr Motor, Massimo Di Risio (estromesso dalla contesa dal superministro) ha cercato di rimettersi in gioco con l'appoggio dei cinesi di Chery. «Siamo a pronti a sostenere il piano industriale di Dr, ma senza un coinvolgimento diretto», hanno fatto sapere. E il gioco di specchi continua...
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