Il male minore è una recessione moderata, molto più digeribile rispetto a un'inflazione con gli artigli spianati. Se Christine Lagarde ancora si balocca con stime di crescita che odorano di muffa, i falchi della Bce sembrano aver già fiutato l'aria che tira ed escono alla scoperto. Robert Holzmann, governatore della banca centrale austriaca, si è schierato: una contrazione dell'economia «può essere accettata (dall'Eurotower, ndr) per arginare le pressioni sui prezzi se ci saranno segnali che le aspettative di inflazione sono in aumento. Speriamo che non diventi necessario». Intanto S&P ha già tagliato la crescita del Pil globale al 2,7% nel 2022 e al 2,6% nel 2023, visto «l'indebolimento» dell'economia Usa nel primo semestre e l'attesa di «condizioni finanziarie più restrittive».
Oltre a un quadro congiunturale già complicato di per sé, è infatti l'inversione di rotta della politica monetaria a esporre l'eurozona al rischio di spinte recessive. Tanto più forti, e quindi senza la garanzia dell'auspicato atterraggio morbido, quanto più robusti saranno i rialzi dei tassi che l'istituto di Francoforte deciderà nei mesi a venire dopo aver varato lo scorso giovedì una prima stretta dello 0,50%.
Sull'argomento, Holzmann si mantiene sul vago (dipenderà dagli sviluppi delle prospettive economiche «se la prossima mossa sarà un altro aumento di 50 punti base, uno più grande o uno più piccolo»), ma l'ala ancor più rigorista all'interno del board ha le idee chiare. «Direi che anche il rialzo dei tassi di settembre dovrà essere piuttosto significativo», ha spiegato il governatore della banca centrale lettone, Martins Kazaks, a Bloomberg News. Non escludendo quindi l'ipotesi di una stretta al costo del denaro di tre quarti di punto che, tra l'altro, potrebbe essere determinata dalle decisioni che prenderà la Fed nella riunione di domani, con possibili ricadute sull'euro.
La posizione lettone è comprensibile. Il Paese soffre di un'inflazione che sfiora il 20% (contro l'8,6% della media dell'eurozona), male comune nei Paesi baltici (22% in Estonia, 20,5% in Lituania). Ma il rischio, dato dal fatto che la folle risalita dei prezzi è riconducibile a uno choc di offerta e non a un surriscaldamento dei consumi (come peraltro riconosciuto, a denti stretti, dalla stessa Lagarde), è che l'aggressività della Bce non serva a piegare il carovita e acceleri piuttosto il processo recessivo. «La Germania è sull'orlo di una recessione», ha ammesso ieri il presidente dell'Ifo, Clemens Fuest.
Dal sondaggio che misura la fiducia delle imprese tedesche sentendo il parere di circa 9mila manager sono arrivati risultati sconfortanti: l'indice sul clima aziendale è sceso di quasi quattro punti, dai 92,2 del mese scorso agli 88,6 di luglio, il punto più basso dal giugno 2021 e la prima flessione dopo oltre un anno di ripresa dai minimi toccati durante la pandemia. «I prezzi elevati dell'energia e la minaccia della scarsità di gas sono un peso per la crescita», ha spiegato Fuest. Due scomodi compagni di viaggio, per tutta l'Europa, anche nei prossimi mesi.
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