Sul suo profilo Instagram, Elkette - la piccola alce, mascotte di Unicredit - ha iniziato l'anno circondata da fiori bianchi brindando a «nuovi sogni e nuove avventure». Tra queste, non sembra per ora previsto un matrimonio a Genova con quella Carige che cerca disperatamente marito per evitare di cadere nella rete dello Stato. Anche se è proprio nella città della Lanterna che è nata la banca di Elkette nel lontano 1870 con la fondazione della Banca di Genova, successivamente denominata Credito Italiano.
Negli ultimi giorni le «sirene» romane hanno rilanciato la voce di una possibile operazione di sistema simile allo schema seguito da Intesa Sanpaolo con le ex popolari venete che questa volta avrebbe Unicredit protagonista. Un intervento condizionato, appunto, a una ricca dote statale che copra la pulizia del bilancio e gli esodi del personale. E in cambio di un tesoretto da circa 2 miliardi tra crediti fiscali e modelli interni sul capitale non ancora utilizzati. Ma le sirene rischiano di cantare a vuoto. I commissari straordinari hanno dichiarato che sono al lavoro sul nuovo piano industriale atteso per fine febbraio e che la ricerca di un partner per l'aggregazione invocata da Francoforte partirà solo quando avranno i nuovi numeri in tasca. Unicredit non commenta, come da prassi. Ma l'ad Mustier ha più volte ricordato che il piano industriale Transform 2019 «si basa su presupposti di crescita organica» e lo scorso 14 dicembre in un'intervista ha allungato ulteriormente i tempi, escludendo la possibilità di una integrazione con un altro istituto di credito almeno fino al 2021. Presentarsi al capezzale di Carige, seppur con un intervento di sistema, smentirebbe quanto detto finora dal banchiere francese. E lascerebbe perplesso il mercato.
Se nella Capitale qualcuno spera che Mustier indossi il mantello del cavaliere bianco, infatti, a Piazza Affari gli analisti non credono alla «favola» e guardano ai numeri. Secondo gli esperti di Equita, in particolare, è «molto improbabile» ottenere condizioni simili allo schema adottato con Intesa per Pop Vicenza e Veneto Banca «visto che Carige, a differenza delle venete, è considerata banca sistemica quindi un intervento di questo tipo non avrebbe l'ok della Ue perché distorcerebbe la concorrenza». Dato che Unicredit è 35 volte più grande di Carige, anche senza contributo pubblico l'acquisizione sarebbe per gli analisti a relativo impatto sui ratio patrimoniali. Ma non è condivisibile, secondo Equita, dal punto di vista strategico perchè «aumenterebbe l'esposizione di Unicredit al mercato domestico nel quale è in atto una profonda rivisitazione del modello attraverso la chiusura delle filiali e la riduzione del personale. Le dimensioni contenute dell'operazione non giustificherebbero inoltre l'impegno manageriale che comunque è necessario per la realizzazione dell'affare». Nel frattempo il rating di Carige ieri è stato messo sotto esame da Moody's per la «direzione incerta».
Mentre il governatore della Bankitalia, Ignazio Visco, ha sottolineato, senza citare il caso genovese, che «l'intervento pubblico per le banche in crisi è opportuno per evitare di pregiudicare la stabilità del sistema finanziario».
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