Economia

Apple sotto accusa: «Evasi 74 miliardi»

La «cassa» di Apple all'estero, circa 100 miliardi, basterebbe a far ripartire anche le disastrate economie europee. Ma tutta questa liquidità tenuta in Paesi stranieri, ha un motivo concreto. La società di Cupertino infatti ha creato un complesso sistema societario, fuori dagli Stati Uniti, per non pagare le tasse federali. Che negli Usa hanno un'aliquota che un imprenditore italiano riterrebbe bassa: il 35%. Ma a furia di vendere iPhone, Tablet e applicazioni di vario genere la cassa si è accumulata aumentando le brame del governo Usa che ora reclama la sua parte.
Nell'occhio del ciclone è finita sopratutto la filiale irlandese che tra il 2009 e il 2012 ha accumulato 74 miliardi di dollari di profitti. A Dublino infatti Apple avrebbe ottenuto l'aliquota che tutti i contribuenti vorrebbero avere: il 2% dei profitti. Nonostante tutto non è che Apple negli Usa non paghi nulla. La società, che nel 2012 ha fatturato 156 miliardi di dollari con utile per 41, ha infatti sborsato circa 7 miliardi di tasse.
«Peccato che, grazie alle pratiche elusive messe in atto, ha evitato di pagarne per altri 9 miliardi sempre lo stesso anno- ha spiegato il presidente della sottocommissione di indagine del Senato, Carl Levin- in pratica Apple non ha pagato 25 milioni di dollari di tasse al giorno, o più di un milione all'ora». Secondo Levin per i profitti derivanti dall'Irlanda, dove si trova il quartier generale europeo, Apple avrebbe corrisposto, sempre tra il 2009 e il 2012, tasse su soli 5 miliardi di utili riferibili al Vecchio continente, contro gli oltre 70 generati nello stesso periodo. Secondo l'accusa, Apple avrebbe evitato il pagamento di imposte per miliardi sia negli Stati Uniti sia nel mondo, creando una struttura societaria tanto compessa da far apprire le sue divisioni estere residenti in nessuno Stato. L'ad Tim Cook, che ieri è stato sentito al Senato Usa, ha però ribadito che la società, con i 7 miliardi di imposte pagate, resta uno dei maggiori contribuenti americani. «Non usiamo trucchi fiscali - ha detto Cook- paghiamo le tasse su ogni singolo dollaro guadagnato. Cupertino ha favorito la creazione di almeno 600mila posti di lavoro soltanto negli Stati Uniti». Tra questi 50mila sono dipendenti della società mentre gli altri sono nell'indotto. Un settore importante dato che Apple ha pagato agli sviluppatori circa 9 miliardi per le applicazioni vendute tramite il suo App-store. Quanto all'Irlanda finita nell'occhio del ciclone per il trattamento di favore, ha respinto al mittente l'accusa di aver concesso una tassazione inferiore al 2% degli utili generati nel Paese come suggerito nella relazione presentata oggi al senato americano. «Non commentiamo sulle questioni fiscali delle singole aziende - ha dichiarato un portavoce del ministero delle finanze irlandese - perché questo violerebbe il vincolo di riservatezza. Ma deve essere chiaro che l'Irlanda non fa accordi per abbassare il prelievo fiscale e non abbiamo una soglia speciale ultra-bassa per le multinazionali. Il sistema fiscale irlandese è basato su uno Statuto e non vi è alcuna possibilità di accordi ad hoc». Sulla stessa lunghezza d'onda il viceprimo ministro Eamon Gilmore, secondo cui il problema non è tanto dell'Irlanda quanto dei Paesi di origine delle multinazionali. «Questi sono problemi - ha detto - che hanno origine nei sistemi fiscali di altre giurisdizioni, e dunque la cosa deve essere affrontata in prima istanza in quelle sedi».

L'Irlanda non interverrà sulla sua legislazione che dagli anni Sessanta offre incentivi fiscali alle aziende straniere con sede sull'isola.

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