Arabia e Russia affossano il petrolio

I due Paesi pronti ad alzare la produzione: il Wti sotto i 70 dollari

Arabia e Russia affossano il petrolio

Contrordine: Arabia Saudita e Russia sono pronte a rottamare gran parte del piano che ha tolto dal mercato petrolifero 1,8 milioni di barili al giorno. È arrivato ieri da San Pietroburgo l'annuncio di due dei principali player sulla scena energetica mondiale, con un effetto immediato sui mercati: a Londra i prezzi del Brent hanno battuto in ritirata (-3%, a 76,39 dollari); a New York il Wti ha abbandonato la soglia dei 70 dollari, a 67,94 dollari (-3,9%). Una reazione violenta nonostante l'ammontare dell'aumento produttivo non sarà deciso prima del vertice Opec del 22 giugno. «È troppo presto per parlare di una cifra specifica, dobbiamo calcolarlo accuratamente», ha messo le mani avanti il ministro russo dell'Energia, Alexander Novak. Circolano però già indiscrezioni su un possibile incremento dell'output di circa 300mila barili al giorno di cui si farebbero carico i Paesi del Golfo, mentre altri 800mila verrebbero assicurati da Mosca.

Insomma, un incremento con cui verrebbe colmato, almeno in parte, il possibile buco di offerta (si parla di un milione di barili) derivante dal ripristino delle sanzioni all'Iran e dalla crisi venezuelana. L'idea di pompare più petrolio è maturata in seguito all'impennata subita dalle quotazioni del greggio, cresciute di oltre il 70% nell'ultimo anno e che alcuni analisti ipotizzavano a 100 dollari nel 2019. Un rischio anche per i Paesi produttori, accusati il mese scorso di mantenere artificialmente alti i corsi petroliferi da Donald Trump, che teme l'annullamento dei benefici della riforma fiscale a causa dei rincari dei carburanti.

Prezzi troppo elevati del petrolio possono infatti portare a un surriscaldamento dell'inflazione, costringendo le banche centrali ad accelerare il rialzo dei tassi malgrado il rischio di far deragliare l'economia globale. A quel punto, la domanda mondiale di oro nero crollerebbe, così come gli introiti dei Paesi produttori. Un lusso che neppure Riyad, appesantita da un disavanzo monstre, può permettersi. Ma se da una parte i sauditi hanno tutto l'interesse a mantenere le quotazioni del greggio su livelli sostenuti per collocare al meglio il 5% della compagnia di Stato Aramco, da cui contano di incassare 100 miliardi di dollari, dall'altra non devono calcare troppo la mano.

E non solo per gli effetti rovinosi sulla domanda petrolifera. La risalita dei prezzi degli ultimi mesi ha infatti rimesso in gioco i produttori statunitensi, le cui esportazioni hanno ora superato i 2 milioni di barili al giorno.

RPar

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