Fino al tardo pomeriggio di ieri, un miracolo finanziario si stava materializzando: oggi Atene avrebbe rimborsato al Fondo monetario 305 milioni di euro. Con puntualità perfetta. Non è il caso di «preoccuparsi, abbiamo già pagato 7 miliardi e mezzo e continueremo a farlo», garantiva il premier ellenico, Alexis Tsipras. Poi, il dietrofront: proprio l'Fmi informava della richiesta greca di pagare in unica soluzione, a fine giugno, le quattro rate che corrispondono a un prestito complessivo di 1,6 miliardi.
Tutto nelle regole, s'intende. Ma se da un lato l'accorpamento delle tranche sembra confermare che nelle casse greche non sono rimasti che spiccioli, dall'altra la decisione può essere interpretata come una forma di pressione sui creditori dopo l'ultimo round di trattative, ancora una volta inconcludenti, coi creditori. Il lungo faccia a faccia di mercoledì tra il numero uno ellenico, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker e quello dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha indicato una sola possibile convergenza: quella sugli obiettivi di avanzo primario. Bruxelles ha messo sul piatto target di surplus pari all'1% del Pil nel 2015, del 2% nel 2016, del 3% nel 2017 e del 3,5% nel 2018. Tsipras ha rilanciato proponendo questa progressione: 0,6% nel 2015, 1,5% nel 2016, 2,5% nel 2017, 3,5% nel 2018 e fino al 2021. Un'intesa su questo punto è quindi possibile. Ma c'è ancora tutta una montagna da scalare: i creditori pretendono la riduzione dei sussidi per la fornitura di carburanti, l'impegno a non prendere decisioni non concordate con il Brussels Group (l'ex Troika) sulla contrattazione collettiva e sull'aumento del salario minimo. Inoltre, non sono state risolte le divergenze sulle privatizzazioni, sui tagli alle pensioni, l'eliminazione dell'assegno di solidarietà. Resta poi la richiesta di rivedere le norme in materia di lavoro e licenziamenti. E ancora: gli assegni familiari e quelli di invalidità dovrebbero subire una sforbiciata per 900 milioni. Infine, il capitolo spinoso della riforma dell'Iva, con la richiesta di due aliquote (23% e 11%). Atene, invece, resta ferma sull'idea di un sistema a tre tassi (6, 11 e 23%).
Le trattative rimangono insomma in alto mare, con i mercati in fibrillazione (Milano ha perso l'1,15%, con lo spread Btp-Bund comunque stabile a 130 punti), e con i protagonisti dell'interminabile maratona negoziale che ieri sera hanno avuto nuovi colloqui telefonici. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, starebbe forzando i tempi per evitare che il G7 di domenica in Baviera si trasformi in un nuovo vertice di emergenza, mentre fonti europee fanno sapere che il negoziato sarà «lungo e duro». Tsipras punterebbe però a chiudere entro il 14 giugno. Un obiettivo talmente ravvicinato da rendere irrealistica l'ipotesi di un referendum nel caso alcune delle misure messe sul tavolo dai creditori superassero le cosiddette «linee rosse» di Syriza. Nel partito del premier, che oggi illustrerà in Parlamento le richieste dei creditori, monta la protesta. Ma che la strada sia in salita lo confermano le parole della Merkel: «La Grecia ha ricevuto aiuti generos i, la situazione stava migliorando - ha detto ai microfoni del Tg1 - poi con le elezioni politiche è tornata indietro».
La cancelliera ha poi sottolineato di non credere «assolutamente» che la politica del rigore sia una delle ragioni della crisi. La replica è arrivata poco dopo dal ministro delle Finanze greco: la Grecia «vuole un accordo», ma ha bisogno di speranza - ha detto Varoufakis. Una speranza che deve arrivare dalla Merkel».