di Marcello Zacché
Una lettera per espropriare Sorgenia ai De Benedetti. L'intera giornata di ieri è passata sul filo di lana del rapporto ormai tesissimo tra le 21 banche creditrici della capogruppo Sorgenia, a cui fanno capo 1,9 miliardi di debito consolidato, e la Cir, la finanziaria della famiglia De Benedetti che controlla con il 52,9% il gruppo energetico sull'orlo del default.
La lettera delle banche al cda di Sorgenia contiene le condizioni definitive imposte alla Cir in conseguenza dell'ostinazione della società presieduta da Rodolfo De Benedetti a impiegare solo 100 milioni, e non un euro di più, nella ricapitalizzazione di Sorgenia. Un importo ritenuto insufficiente, a fronte del quale le banche sono pronte a far scattare le loro pretese: la conversione di 400 milioni di crediti in azioni, con la possibilità di elevare fino a 600 il capitale attraverso un prestito convertibile da 200 milioni, nell'ambito della ristrutturazione del debito prevista dall'articolo 182-bis della legge fallimentare. Una procedura che prevede l'approvazione del piano da almeno il 60% dei creditori e l'omologa del Tribunale.
La lettera, di fatto, rappresenta l'ultimo atto prima del passaggio della società agli istituti di credito, che andranno in maggioranza assoluta, anche per la presa d'atto della posizione di Cir, mentre l'altro grande socio, gli austriaci di Verbund al 46%, ha già da tempo azzerato la quota uscendo dalla partita. I dettagli della proposta «prendere o lasciare» non erano ieri sera ancora definitivi: serve l'intesa almeno tra le cinque big (Mps è capofila con oltre 600 milioni, seguita da Intesa, Unicredit, Bpm, Ubi e Banco) più una condivisione da parte degli istituti minori. E in ogni caso, tra questi, c'è un ritardo che riguarda Banca Marche, esposta per soli 5 milioni, ma in amministrazione straordinaria. Per questo i commissari Giuseppe Feliziani e Federico Terrinoni stanno verificando se sia tra le loro prerogative di legge quella di firmare un provvedimento straordinario di questo tipo.
L'esproprio, in verità, non è un gran dispetto per i De Benedetti. La situazione di Sorgenia è tipica di una società in default: i margini operativi dell'attività di produzione elettrica sono negativi a causa della mancanza di domanda; di conseguenza, non è possibile far fronte né ai costi di gestione, né agli ingenti ammortamenti (le 4 centrali termoelettriche del gruppo sono quasi nuove) né tantomeno agli oneri finanziari del debito. Di fatto la società brucia cassa giorno dopo giorno e non ha, al momento, alcuna prospettiva di tornare a generare margini operativi. Ma per la Cir non è un grosso problema: l'investimento iniziale nell'avventura energetica, effettuato nei primi anni del secolo, è nell'ordine del centinaio di milioni. I successivi aumenti di capitale, diluitivi per Cir scesa appunto fino al 53%, sono stati fatti invece da Verbund, per circa 600 milioni, a fronte di una valutazione del gruppo arrivata nel 2009 a ben 3,9 miliardi. Un valore che si è invece azzerato in questi ultimi due anni. In ogni caso Cir, che ha in carico Sorgenia per circa 200 milioni, nella partita perde un investimento di capitale iniziale risibile. A fronte del quale, e questa è la parte più incredibile della storia, le banche hanno invece prestato quasi 2 miliardi di euro.
Una situazione che alla media degli imprenditori italiani alle prese con il credit crunch quotidiano fa senz'altro salire il sangue alla testa.
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