Camilla Conti
nostro inviato a Cernobbio (Como)
Da una parte i timori per il successo dell'aumento del Monte dei Paschi e il rischioso accavallarsi con quello di Unicredit. Dall'altra la bomba lanciata venerdì da Matteo Renzi sugli esuberi del credito e il contrattacco del sindacato di categoria che scende sul piede di guerra, minacciando lo sciopero generale allo sportello. Ieri a Cernobbio le banche sono tornate sulla scena, aprendo un autunno rovente per il sistema del credito italiano.
Venerdì, durante la sessione a porte chiuse con la platea del forum Ambrosetti, il premier ha detto che tra un po' di anni avremo metà degli addetti delle banche rispetto ad oggi, cioè da 325mila a 150-200mila. E ieri è arrivata la reazione dei sindacati.
«A chi vuole l'eutanasia del settore creditizio occorre rispondere con la mobilitazione. L'affermazione di Renzi circa la necessità di ridurre, in 10 anni, di 150mila lavoratori bancari il numero degli addetti nel settore creditizio, merita una sola risposta: sciopero generale», tuonano rappresentanti dei lavoratori. Che in una nota unitaria sottolineano come, prima di fare queste dichiarazioni, Renzi «aveva l'obbligo di consultare le parti sociali, fare valutazioni di opportunità. La sua analisi si basa invece sul fatto che sua moglie usa lo smartphone invece di recarsi allo sportello bancario. Se la politica deve stare fuori dalle banche perché il governo deve imporre il numero delle filiali, delle banche, degli addetti?», protestano i sindacati.
L'esecutivo, nel pomeriggio, ha però subito aggiustato il tiro. È «del tutto infondato che il governo pensi ad un piano decennale di dimezzamento del personale delle banche. La riorganizzazione del settore deve partire dalla semplificazione degli organi dirigenti. Se vi saranno altre conseguenze il governo le seguirà con attenzione per evitare conseguenze negative sui lavoratori», ha scandito in una nota il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta. Insomma Palazzo Chigi vuole ridurre i cda pleonastici, le poltrone dei board stessi, il ruolo della politica dentro le banche, le superconsulenze.
Dai banchieri è arrivata la voce dell'Abi che è pronta a «sedersi immediatamente con il governo e i sindacati per lavorare» a un nuovo Patto sociale. Il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros Pietro, ha invece ricordato che «c'è un cambiamento tecnologico, quindi le funzioni che erano svolte dagli sportelli in parte vengono svolte direttamente dai clienti» online. «A nostro modo di vedere c'e spazio per svolgere nuove funzioni, per dare ai clienti nuovi servizi che richiedono maggiori professionalità dei nostri dipendenti». In ogni caso l'ipotesi di tagli non riguarda Intesa «il nostro piano non prevede esuberi, abbiamo riassorbito le eccedenze che potevano derivare dal cambiamento tecnologico con lo sviluppo di nuovi servizi».
Il tema resta comunque legato a doppio filo al riassetto di due big del settore Monte dei Paschi e Unicredit. Nonostante l'assenza dell'ad Fabrizio Viola e del presidente Massimo Tononi, nelle pause caffè in terrazza si è parlato molto di Mps. Lo ha fatto, ad esempio, Corrado Passera, ribadendo che il suo piano alternativo alla ricapitalizzazione presentato in tandem con Ubs ma non preso in considerazione dal cda senese che, ha detto ieri l'ex banchiere di Intesa poi sceso in politica, «ha scelto di andare in un'altra direzione, ma secondo indiscrezioni la proposta prescelta è in corso di modifica e si sta avvicinando a quanto da noi proposto. Il mio obiettivo rimane quello di favorire una soluzione positiva e se potrò dare un contributo lo farò».
Ieri a villa d'Este ha invece debuttato il nuovo ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier (incrociandosi con il suo predecessore Federico Ghizzoni) che ha escluso rischi per il possibile arrivo
ravvicinato sul mercato dell'aumento senese e di un'eventuale analoga operazione da parte del gruppo di piazza Gae Aulenti. «Non sono preoccupato, lavoro sul piano strategico che comunicheremo prima della fine dell'anno».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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