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Banche, ora il governo paghi i danni

Sulla base del Codice civile, è possibile fare causa all'esecutivo. Renzi ha tradito anche la Costituzione

Banche, ora il governo paghi i danni

Francesco ForteLe quattro banche nate, con il decreto «salva banche», sulle ceneri delle vecchie - cioè la nuova dell'Etruria, la nuova delle Marche e le due nuove di Ferrara e di Chieti - hanno dichiarato che non sono responsabili dei danni provocati dalle precedenti banche ai possessori di azioni subordinate e di azioni, tratti in inganno o, comunque, vittime di mala gestione. In effetti, stando alla nuova normativa comunitaria, che il nostro governo ha voluto applicare con questo decreto, le nuove banche non sono obbligate a rispondere dei debiti delle precedenti. Ma non è vero che ora i risparmiatori dovranno accontentarsi dei 100 milioni del Fondo disposto dal governo per loro, a cui sovraintenderà Raffaele Cantone, il commissario anti-corruzione, una sorta di Figaro, chiamato di qua e di là, per ogni evenienza, a tappare i buchi.La class action impossibile verso le 4 nuove banche, è possibile verso il governo, ai sensi dell'articolo l'articolo 2043 del Codice civile, che riguarda la responsabilità extra contrattuale, secondo il quale «qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Si tratta di una norma che risale al diritto romano, la cosi detta «Azione aquiliana».

La responsabilità del governo, per colpa o dolo, deriva dal fatto che esso, con il decreto «salva banche», basato sul diritto comunitario, ha provocato un danno che poteva evitare, in quanto non era obbligato a scegliere questa soluzione. Lo dice il Commissario europeo per la Stabilità finanziaria, Jonathan Hill, che ha richiamato i fallimenti di banche spagnole nel 2012, per i quali vennero istituti dei tribunali arbitrali, che fecero emergere casi di vendita fraudolenta, di azioni o di obbligazioni subordinate ai risparmiatori. Cosa che ha comportato un risarcimento del danno col via libera da parte dell'Europa, perché non si trattava di aiuto di Stato. È vero che la normativa europea che il governo ha applicato, quella del cosiddetto bail-in è venuta dopo. Ma se una quota del Fondo interbancario di garanzia fosse stata devoluta volontariamente a questo scopo, in parallelo al decreto legge, la Commissione europea non avrebbe potuto sostenere che si trattava di un aiuto di Stato.

A maggior ragione, ciò si sarebbe verificato se il governo avesse scelto non la strada europea, ma quella italiana e non avesse messo nel decreto legge delle norme che regolano le modalità di intervento del Fondo di indennizzo, trasformando un fondo privato in fondo pubblico e avesse lasciato la sua gestione al sistema bancario. Il governo, inoltre, poteva osservare che si tratta di banche minori e che gli effetti degli indennizzi non generano una distorsione rilevante a livello comunitario. Bruxelles, del resto, ci ha mandato lettere, non ha aperto procedure di infrazione.Il governo italiano poteva e doveva trattare. Però, avendo chiesto deroghe per lo sforamento delle regole sul deficit di bilancio sul debito pubblico, non voleva «disturbare» il manovratore. Il governo, dunque, è riuscito a collezionare una serie di sconfitte tutte in una volta. Ha perso la partita con Bruxelles. Ha messo in mutande i possessori di azioni e obbligazioni delle vecchie banche, assegnando loro, per gli indennizzi, un fondo «umanitario» di 100 milioni, mentre essi sono stati danneggiati per un multiplo.

L'articolo 47 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela e incoraggia il risparmio in tutte le sue forme, qui non conta.

Vale il principio della «fattoria degli animali», secondo cui qualcuno è più eguale degli altri. Il governo, così, ha generato una generale sfiducia nel sistema bancario. E ha anche fatto autogol. In queste condizioni, nello sport, di solito si manda via il commissario tecnico.

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