Banche Popolari, i salotti si organizzano per l'ultima battaglia

Da Ubi a Bpm a Veneto Banca ecco tutti i soci in manovra per arginare l'effetto «spa» E nel Nord-Est c'è l'arrocco degli industriali

Le banche popolari hanno già tracciato la road map per la trasformazione in spa e l'abolizione del voto capitario imposta dalla riforma del governo su input della Bce. Le fronde interne che per anni hanno animato poltrone e strategie di queste banche, facendosi portatori di interessi politici o di campanile, sanno bene che nulla sarà più come prima. Ma sono pronte a vendere cara la pelle nelle prossime assemblee. Le grandi manovre sono già cominciate e le alleanze si preparano ad assumere nuove forme: non più patti occulti e salotti degli «amici». La resistenza interna oggi si combatte costituendo un nocciolo duro di soci che abbia in mano un pacchetto di azioni sufficiente a poter avere voce in capitolo nel prossimo risiko.

A Ubi si sono già portati avanti e il gruppo di potere che ruota storicamente attorno al presidente di Intesa, il bresciano Giovanni Bazoli, ha in mano la situazione e non teme ribaltoni. In Bpm, invece, le fazioni interne «vogliono giocare la partita», commenta una fonte al Giornale . Aggiungendo che «sulla trasformazione in spa non hanno palla ma sulla revisione dello statuto potrebbero toccarla», anche perché i vertici devono ancora superare l'ostacolo dell'assemblea di aprile dove si voterà col vecchio sistema di “una testa, un voto“ «e dovranno scendere a patti con quelli che li hanno eletti». A cominciare dal presidente del consiglio di sorveglianza, Piero Giarda, che nel 2013 era stato il candidato della lista in cui erano confluiti parte dei soci pensionati, associazioni di categoria e i sindacati nazionali. «Il presidente del consiglio di sorveglianza e l'ad Giuseppe Castagna sono stati eletti e nominati dall'assemblea dei soci e dal consiglio di sorveglianza dell'istituto. Non devono mai dimenticarlo», ha già tuonato il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. Definendo «grottesche» alcune iniziative prese dai vertici, come l'ipotesi di una presidenza a tempo nella Sorveglianza che scade ad aprile 2016, un anno prima della Gestione. Intanto il plotoncino di dipendenti ed ex, che detiene complessivamente il 3-4% di Bpm (quota che sarà quasi ininfluente in una spa) potrebbe arruolare altri azionisti. Il più corteggiato sarebbe il finanziere italo-britannico Raffaele Mincione, che possiede il 5,7%. In manovra c'è anche lo storico rappresentante dei soci non dipendenti, Piero Lonardi, che si è avvicinato al fronte dei pensionati ed è tra i firmatari di due ricorsi presentati al Tar contro la riforma insieme all'economista Marco Vitale.

A Nordest, invece, sta prendendo piede un «movimento» industriale. In casa del Banco Popolare si tengono sempre d'occhio le mosse della Fondazione Cariverona di Paolo Biasi, nonché i sussulti della politica della città guidata dal sindaco Flavio Tosi, ma per la nascita di un nocciolo duro si guarda ai nomi di Alberto Bauli, Gian Luca Rana, Sandro Veronesi, Fabio Ravanelli e Cristina Zucchetti. Tutti imprenditori. Anche nel capitale di Veneto Banca si sta rafforzando l'associazione capitanata dall'industriale vicentino Diego Carraro che oggi rappresenta l'8% della banca di Montebelluna e punta al 10% per poi chiedere la costituzione di un patto di sindacato. Si tratta di un piccolo esercito di capi d'azienda: dal trevigiano della ProGest Bruno Zago al re del prosciutto Luca Ferrarini, da Bepi Stefanel a Beniamino Gavio. Infine, a Modena una trentina di imprenditori sta cercando di mettersi insieme per blindare una quota sostanziosa di Bper strizzando l'occhio al mondo delle cooperative nonché alle fondazioni azioniste.

Le manovre interne alle popolari dovranno comunque fare i conti con un fronte assai più compatto, quello

degli investitori istituzionali come Black Rock, Norges Bank o il fondo pensione canadese entrato in Bpm con il 2,01%. Tutti colossi che si metterebbero di traverso a qualsiasi di tentativo di riesumare interessi corporativi.

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