nostro inviato a Cernobbio
«Non serve un azionista industriale, serve un progetto industriale. Prima il progetto, poi la coalizione». Il presidente di Telecom, Franco Bernabé, ha scelto il Workshop Ambrosetti di Cernobbio per rendere noto il proprio punto di vista sul futuro del principale operatore telefonico italiano. Parole sicuramente meditate, pronunciate in un contesto nel quale si riuniscono i principali player politico-finanziari italiani ed esteri e, soprattutto, alla vigilia di un passaggio delicato come la scadenza del patto di sindacato di Telco, la scatola di controllo di Telecom. E proprio a due soci in predicato di uscire dalla compagine, come Generali e Mediobanca, Bernabè non ha risparmiato un riferimento critico. Ai giornalisti che lo interpellavano su un possibile ingresso di nuovi partner finanziari, il manager ha risposto causticamente «abbiamo già dato», per chiarire che margini di mediazione con i salotti finanziari in questa partita non esistono.
Le frasi di Bernabè, tuttavia, erano rivolte a un pubblico più ampio, quello dei mercati internazionali che da giorni si interrogano su chi sarà il conquistador di Telecom: la «liquidissima» Vodafone (dopo la cessione di Verizon Wireless), il gigante americano At&t , oppure America Movil di Carlos Slim. Senza trascurare un possibile «scatto di reni» di Telefonica. A queste ipotesi Bernabè, negli ultimi anni, ha sempre contrapposto la ricerca di un socio industriale, come Naguib Sawiris o come H3g. Ed è quest'ultima strada che sembra preferire il presidente, almeno a giudicare dalle sue parole. «Il progetto che deve rilanciare Telecom può avere un azionista industriale che deve avere pari dignità. Telecom non è oggetto di scambio, acquisto o vendita», ha dichiarato facendo intendere che la società non diventerà un boccone prelibato per qualche colosso. «Non c'è bisogno di qualcuno che insegni ai nostri uomini, donne e ingegneri che cosa fare, siamo la seconda o terza azienda del Paese», ha tagliato corto. Un partner cinese o egiziano, dunque? «Qualsiasi lingua parlino va bene, purché siano operazioni industriali», ha sottolineato Bernabè ricordando come gli investitori esteri abbiano, tutto sommato, giovato alla crescita del settore italiano delle tlc. «Sawiris ha gestito con grande successo Wind, Hutchison Whampoa, ha comprato H3g e l'ha fatta crescere, Vodafone è un grande operatore», ha rimarcato. E, non a caso, a pranzo Bernabè ha scelto lo stesso tavolo di Pietro Guindani, presidente di Vodafone Italia, e di Francesco Caio, ad di Avio e «mister Agenda digitale» del governo Letta. Sulla stessa lunghezza d'onda del presidente di Telecom è sintonizzato il ceo di Intesa (socio di Telco), Enrico Tomaso Cucchiani. «La preferenza è per la soluzione migliore», ha detto in proposito ai futuri sommovimenti dell'azionariato, di fatto «sminando» il terreno attorno a Bernabè. «Siamo in un mondo globale per cui credo che la nazionalità di un nuovo socio non sia fondamentale». Ha coperto le carte il presidente della Cdp (sempre in predicato di intervenire sullo spin-off della rete), Franco Bassanini: «Abbiamo un accordo di riservatezza». Un intervento della Cassa è auspicato dai sindacati (a partire dalla Slc-Cgil) che temono nuovi tagli nel caso di un acquirente estero.
Dopo una giornata in altalena il titolo della società telefonica ha chiuso nuovamente in rialzo
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