Economia

Caso Ilva, 25 e 28 anni ai Riva. E Vendola ne rischia cinque

Richieste choc, nei guai il segretario LeU Fratoianni e pure l'arcivescovo: "Abbraccio mortale a Taranto"

Caso Ilva, 25 e 28 anni ai Riva. E Vendola ne rischia cinque

Il presente dell'Ilva è un rimpallo fra giudici amministrativi, la storia della grande acciaieria diventa una requisitoria come nemmeno nei processi di mafia. «C'è stato un abbraccio mortale fra l'Ilva e Taranto», spiega il pm Marianno Buccoliero. Era il luglio 2012 quando la Procura alzó il velo sul disastro ambientale, sui tumori, sulle malattie portate dal colosso siderurgico.

Sono passati quasi nove anni, tanti, anzi troppi, ed ecco arrivare finalmente le richieste di condanna. Pesantissime. Tanto da lasciare sgomenti: 28 e 25 anni per i fratelli Fabio e Nicola Riva, ex proprietari dell'impianto; poi, pescando i nomi più noti nell'elenco dei 44 imputati, 17 anni per l'ex presidente dell'Ilva ed ex prefetto di Milano Bruno Ferrante e 5 anni per l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione per aver esercitato pressioni sull'allora direttore generale dell'Arpa, spingendolo ad «ammorbidire» la perizia sulle emissioni nocive. Su tutto la procura contesta l'associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari e all'omissione dolosa di cautele in materia di sicurezza di lavoro. Davanti alla corte d'assise, Buccoliero disegna una città «stritolata» dall'industria di cui andava orgogliosa e parla di «condotte pluriennali» e di «violenza inaudita». Malattie e morte, dunque. Quasi una maledizione biblica: «I motivi a delinquere - prosegue la requisitoria - sono i soldi, perché gli impianti dovevano marciare al massimo della produzione, il resto veniva meno». Sembra quasi di assistere a un processo contro la grande criminalità organizzata. Manca solo la parola ergastolo, ma il resto c'è tutto: «Sono venuti in aula imputati che hanno preso in giro la corte e per questo non vanno loro concesse le attenuanti».

Avanti allora con il pallottoliere delle condanne esemplari: 28 anni ciascuno per l'ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà e l'ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. E poi a cascata anni e anni di carcere per 35 persone, lo stop in qualche caso davanti alla prescrizione, addirittura 8 mesi per l'ex assessore regionale Nicola Fratoianni, oggi segretario di Sinistra italiana.

Non basta: per cinque testimoni si suggerisce alla corte la trasmissione degli atti alla procura per falsa testimonianza; e in questa coda possibile si punta il dito anche contro l'ex arcivescovo Benigno Luigi Papa. Insomma, non si salva nessuno in un redde rationem che coinvolge tutto e tutti: politici, tecnici, autorità varie, i controllori dell'Arpa.

Tutto questo davanti a un'Ilva che continua a inquinare: i quindicimila operai scrutano con ansia e comprensibile scetticismo un futuro pulito, se non green, che non arriva mai. Il Tar ha appena ordinato lo spegnimento entro 60 giorni dell'area a caldo, i nuovi padroni di Arcelor Mittal - cui si sta affiancando Invitalia dell'onnipresente Domenico Arcuri - annunciano ricorso al Consiglio di Stato. E Taranto, che ha già minato la credibilità dei 5 stelle che ne avevano promesso la chiusura, è un ostacolo scivolosissimo per Draghi.

E un rompicapo insolubile, fra il diritto al lavoro e quello alla salute.

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