La cavalcata di Poste che piace al Tesoro

Allo Stato cedola di 900 milioni. E le sinergie con Tim (+64% da gennaio) sono solo all'inizio

La cavalcata di Poste che piace al Tesoro
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Era tutto pronto lo scorso autunno. Dal prospetto da depositare in Consob con lotti minimi e quote da destinare a retail e dipendenti, alla corposa lista di banche arruolate per il collocamento del 14% di Poste Italiane che avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato circa 2,3 miliardi di euro. All'ultimo momento l'operazione è stata rinviata per una riflessione sull'opportunità di allargare l'azionariato, ma oggi in via XX Settembre non traspare alcun tipo di recriminazione, anzi.

Le dinamiche di mercato hanno infatti premiato la decisione di posticipare il collocamento. Negli 8 mesi trascorsi dal rinvio, il gruppo guidato da Matteo Del Fante e Giuseppe Lasco ha sfornato risultati record che hanno contribuito a far lievitare il valore di Borsa del 45% rispetto ai valori della seconda metà di ottobre, quando si sarebbe dovuta cedere la tranche ai privati. Inoltre, il gruppo ha assegnato ai soci un dividendo di 1,08 euro, pari a una crescita del 35% rispetto all'anno scorso. Lo Stato, che detiene il 64,26% di Poste (il 35% attraverso Cdp e il restante 29,26% in mano al Tesoro), incasserà così dividendi per 900 milioni tra l'acconto di novembre e il saldo cedola di 0,75 euro per azione il cui stacco avverrà domani. Il 14% del capitale di Poste che il Mef aveva in mente di cedere vale oggi oltre 3,4 miliardi, ossia 1,1 miliardi in più rispetto a 8 mesi fa; a questo tesoretto vanno aggiunti circa 200 milioni di maggiori dividendi incassati alla luce della mancata cessione della quota.

Tornando alle performance borsistiche, il titolo Poste ha letteralmente spiccato il volo in questo 2025 aggiornando i massimi storici a 19,25 euro a fine maggio e alla chiusura di venerdì scorso capitalizzava 24,4 miliardi, 7,6 miliardi in più rispetto a ottobre e la quota in mano allo Stato più ricca di ben 4,9 miliardi.

Un contributo non al percorso virtuoso degli ultimi mesi è ascrivibile anche alla decisione strategica di investire in Tim, di cui Poste oggi è diventata primo azionista con il 24,81% delle azioni ordinarie a seguito del doppio blitz sul capitale, prima rilevando la quota di Cdp a febbraio e successivamente buona parte di quella in mano ai francesi di Vivendi a marzo. Come sottolineato dal ceo di Tim, Pietro Labriola, dalla notizia dell'ingresso di Poste in Tim, il titolo della maggiore tlc italiana è passato da 0,29 euro agli oltre 0,40 euro attuali, con una maxi sinergia che ha fruttato un plus di circa 2 miliardi in valore di Borsa. Da inizio anno il titolo Tim segna +64%, e troneggia sul terzo gradino per performance all'interno del Ftse Mib.

Gli analisti si aspettano che le sinergie tra le due realtà saranno esplorate a tutto campo nella rete (Poste passerà da Vodafone a Tim), nel consumer in virtù dei quasi 13mila uffici postali e anche nell'enterprise (connettività, cloud e cyber security). Lo scorso mese i due gruppi hanno firmato un memorandum che garantirà a Postepay l'accesso all'infrastruttura di rete mobile di Tim a partire da inizio 2026. Da solo, l'utilizzo della rete di uffici postali potrebbe generare potenziali risparmi di costo per 200-300 milioni.

Sullo sfondo c'è poi il potenziale consolidamento nel settore tlc italiano, con Iliad che rimane la principale indiziata per andare a nozze con Tim. Intanto, martedì prossimo è in agenda l'assemblea di Tim, che non dovrebbe prevedere l'ingresso di rappresentati di Poste nel board della società tlc.

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