I «mazzieri» della Bce alla guida della banda hanno segnato il ritmo: entro giugno il Monte dei Paschi dovrà trovare uno sposo per far uscire lo Stato dal capitale e Carige dovrà presentare un piano industriale convincente in modo da finire sul mercato (soluzione gradita anche dal premier, Giuseppe Conte) e non ripetere lo stesso copione di Siena. Facendo di necessità, virtù, la parola d'ordine a Francoforte è consolidare. Ovvero diminuire il numero di banche in cui ancora il sistema, non solo italiano ma europeo, è parcellizzato. In un futuro prossimo è dunque prevedibile che il credito nel nostro Paese graviterà attorno a tre grandi pianeti: quello di Intesa Sanpaolo, quello di Unicredit e quello di un terzo polo bancario che potrebbe unire le reduci di quel mondo Popolare ancora rimasto in piedi come il BancoBpm e Ubi, magari annettendo qualche altro satellite se non si farà avanti un buon samaritano straniero.
Facile da dirsi sulla carta, ma complicato da farsi. Anche perchè tra aggregazioni e cda in scadenza, non tutti gli ad sono pronti a fare le valigie. Aniz, le resistenze di chi non vuole sacrificare il posto sull'altare del risiko cominciano già a farsi sentire. Paradossalmente, il più sereno sembra essere il timoniere di Mps, Marco Morelli: «Il mio mandato è a disposizione degli azionisti in qualunque momento», ha più volte ribadito. Ciò non significa che voglia lasciare la banca che proprio ieri è riuscita a collocare sul mercato un bond da 1 miliardo (coperto da garanzie statali) ottenendo 2,3 miliardi di euro di richieste. Per Morelli l'aver traghettato il Monte di Stato lungo la palude degli ultimi anni è una medaglia che può essere notata anche all'estero per una futura esperienza professionale, magari in una banca d'investimento. Per altri non sarebbe altrettanto semplice. Anche per questo, di fronte all'emergenza Carige, le porte sono rimaste serrate.
Un anno fa l'ad del BancoBpm, Giuseppe Castagna, scadenzò una nuova fusione entro il 2019 ma nelle ultime settimane ha frenato. «Le incertezze di mercato sconsigliano per adesso nuove nozze», ha detto in un'intervista al Messaggero il 12 gennaio. Già è stato difficile digerire i sacrifici richiesti dal sistema. L'istituto di piazza Meda ha fatto la sua parte per il bond subordinato da 320 milioni di Carige sottoscritto dallo Schema volontario del Fondo interbancario. «Nell'interesse dei depositanti si fa tutto, però un po'di distorsione c'è», ha detto a novembre l'ad con una riflessione amara. Il cda del BancoBpm scadrà a fine 2019 (e lo stesso consiglio uscente potrà presentare una propria lista), più ravvicinata invece la scadenza per Ubi. Il gruppo guidato da Victor Massiah sarà l'ultima banca italiana ad abbandonare la governance duale con il rinnovo dei vertici previsto per la prossima primavera in cui saranno gli azionisti a proporre l'elenco degli amministratori. Massiah, in un recente colloquio con il Sole24Ore, si è già dichiarato «disponibile» a restare al timone. E pur considerando la nuova fase di concentrazione del sistema bancario italiano «inevitabile», si sfila dalla partita su Carige e su Mps: «In questo momento e in questo contesto non ci sono le condizioni perchè Ubi sia un soggetto aggregatore», ha detto lunedì.
Resta a bordo pista anche Bper con il primo azionista Unipol (al 15%) che non vuole distrarre l'ad dell'istituto modenese, Alessandro Vandelli, da altre operazioni straordinarie che potrebbero essere inserite nel nuovo piano industriale in arrivo a febbraio. Come l'acquisto di Unipol Banca e l'acquisto del 49% del Banco di Sardegna dall'omonima Fondazione che è già azionista di Bper con il 3%.
«Bper segue la sua strada», ha detto martedì l'ad di Unipol, Carlo Cimbri da Davos escludendo una fusione con Mps. E Vandelli, confermato alla guida lo scorso aprile, si adegua.Per chi suonerà la campana tra gli ad del credito? Vedremo. E se qualcuno sarà costretto a lasciare, potrà sempre aprire una Spac.
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