Confindustria e Assolombarda ribaltano il tavolo dell'austerity.A tracciare un solco con il passato governo «tecnico» ci ha pensato il numero uno di Viale dell'Astronomia, Giorgio Squinzi. «Se rigorismo e austerità mettono in ginocchio tenuta sociale e patrimonio delle imprese, affinché altri possano fare shopping portandosi a casa i nostri pezzi migliori a prezzi di saldo, dobbiamo dire no», ha affermato. È successo ieri a Milano dove l'assemblea di Assolombarda ha salutato la successione tra il presidente uscente Alberto Meomartini e il nuovo leader Gianfelice Rocca. Che sin dal suo esordio ha messo bene a fuoco quali sono i problemi che appesantiscono il sistema imprenditoriale lombardo.
«Abbiamo rinunciato alla moneta trasformando il nostro debito in debito estero e la nostra quota di mercato si è deteriorata perché la Germania ha svalutato» avvantaggiandosi della moneta unica. Certo, ha spiegato successivamente il patron di Tenaris, «parlare di uscita dall'euro è populismo» perché l'Argentina continua a soffrire per la scelta di sganciarsi dal dollaro Usa. Tuttavia, l'Italia non può continuare a contorcersi su se stessa.
«Lo Stato in dieci anni ha sottratto con la spesa pubblica 400 miliardi di avanzo primario», mentre da inizio 2012 «26mila imprese artigiane e 10mila imprese manifatturiere e dei servizi hanno chiuso i battenti. Non c'è stata solo pars destruens, Rocca ha sottolineato che «Milano deve tornare a superare Monaco di Baviera nella classifica di attrazione di imprese multinazionali». Un traguardo possibile se il sistema lombardo (che vale oltre il 20% del pil italiano) riuscirà a ottenere qualche piccola riforma, come una moratoria della riforma Fornero per avere più flessibilità sul mercato del lavoro.
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha concluso l'assise riprendendo le parole di Rocca e sostanzialmente dando il benservito a qualsiasi tentativo di riciclare il «montismo» in politica economica. «Prima di Monti il debito/pil era al 117%, quest'anno ci avviamo al 132%: accettando la vulgata monetarista abbiamo messo il Paese in ginocchio». Un vero smacco per l'ex premier, seduto in prima fila ad ascoltare.
La denuncia di Squinzi non tralascia nulla. «Noi non cresciamo da 20 anni perché paghiamo tasse sempre più alte per sostenere il debito pubblico e una spesa pubblica improduttiva». Il destinatario del messaggio è l'Unione europea perché «l'iper-rigidità ha prodotto l'implosione del mercato interno e oggi è «incomprensibile» pensare di tenere in piedi un totem come il rapporto deficit/pil al 3 per cento. Frasi che non vanno interpretate come un invito alla spesa in deficit, ma solo come una sollecitazione a escludere gli investimenti in conto capitale dal computo dell'indebitamento delle pubbliche amministrazioni.
Insomma, quello che ha proposto Squinzi a Milano è stato un rovesciamento del paradigma politico-economico comunitario incentrato sull'assioma meno debito=crescita. «L'Irlanda aveva un debito pubblico bassissimo e oggi è semi-fallita», l'Italia ha contenuto il disavanzo e «l'impresa italiana ha perso 100 milioni al giorno da giugno 2012».
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