In un periodo come questo, la tendenza, da parte dei Comuni, è quella di estendere a dismisura le aree fabbricabili, così da poter ricavare, dall'applicazione dell'Imu su questo tipo di aree, cospicui introiti.
Modificare la destinazione di un terreno convertendolo da agricolo a fabbricabile significa dunque, ai fini fiscali, aumentarne il valore e, conseguentemente, alzare la base imponibile su cui applicare l'imposta municipale. Operazione, questa, tanto più proficua per le casse dei Comuni se solo si considera che in base all'articolo 36, comma 2, d.l. n. 223/'06 (come convertito in legge) un'area è da considerarsi fabbricabile ai fini Ici, e ora Imu, se è «utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo». Il che consente agli enti locali, in sostanza, di ritenere fabbricabile anche un terreno con remote, se non addirittura in concreto inesistenti potenzialità edificatorie e, di conseguenza, di colpire (senza di norma tenere conto peraltro di tali remote o inesistenti potenzialità, come al contrario dovrebbe essere: cfr. Cassazione Sez. Un. sentenza n. 25506 del 30.1.'06) aree per le quali lo ius aedificandi è, ad esempio, subordinato a futuri piani di lottizzazione o impedito da vincoli di natura urbanistica (vicinanza a strade, fabbricati, ecc).
Occorre domandarsi, allora, se vi sia un modo per reagire a questa forma di tassazione sussidiaria. Allo scopo, si segnala una pronuncia del Tar della Lombardia (Brescia, Sez.
I), secondo cui «è espressione di illogicità manifesta la previsione di un piano che, in palese contraddizione con i dati statistici relativi all'andamento della popolazione residente nel quarantennio precedente e senza ulteriori analisi statistiche, parametra lo sviluppo quantitativo del territorio di riferimento ad una crescita significativa del numero di abitanti» (sentenza. n. 951 del 28.6.'11).*Presidente Centro studi Confedilizia
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