La crisi Mps una mina per il governo

Il Tesoro dovrà salire dal 4 al 7%. E il partner non si trova. Difficile l'intervento di Cdp in tandem con Intesa

La crisi Mps una mina per il governo

Il caso Monte dei Paschi va risolto. In fretta. Prima dell'arrivo di una nuova ondata di vendite sui titoli del sistema bancario che potrebbe essere innescata dall'eventuale naufragio delle nozze Bpm-Banco Popolare, attese come il fischio d'inizio del risiko nostrano. Ecco perché sono bastati i rumor di un possibile piano B del governo Renzi con il coinvolgimento della Cdp per riaccendere, lunedì, i riflettori sulle azioni Mps balzate di oltre il 10 per cento. Ieri, però, è stata inserita di nuovo la retromarcia con un 5,98% a 0,59 euro. Ad alimentare le vendite, l'indiscrezione secondo cui il ministero dell'Economia potrebbe accrescere la sua quota attorno al 7% dall'attuale 4% per il possibile pagamento in azioni degli interessi residui sui Monti Bond, diventando il primo socio di Rocca Salimbeni.

Il saldo scade a luglio e il contratto firmato nel 2013 prevede che Mps paghi in contanti o in azioni in caso di bilancio in perdita. La banca ha chiuso il 2015 in utile ma grazie alla contabilizzazione del derivato Alexandria pari a circa 500 milioni. Tema del contendere, quindi, è come sarà interpretato il risultato dell'anno scorso. Le voci hanno comunque spaventato gli operatori che vedono aggirarsi di nuovo lo spettro della nazionalizzazione.

L'ipotesi fa tremare anche Palazzo Chigi che sulla tenuta del sistema creditizio dopo il flop del salvabanche rischia di giocarsi non solo la reputazione. E che non può permettersi di rimanere sul Monte col cerino del 7% in mano. Ma di cavalieri bianchi all'orizzonte per ora non se ne vedono. E si complica l'ipotesi di far sposare Siena con una Popolare dando vita a un terzo polo. Cosa fare? Le soluzioni che circolano sono due: un intervento della Cassa Depositi o una missione di salvataggio organizzata da Intesa Sanpaolo. La prima strada, quella di Cdp, sembra più disegnata su una mappa ideale dal governo che un terreno realmente praticabile e non solo per le possibili obiezioni della Vigilanza unica europea. Ad ammetterlo era stato il 2 marzo Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro. «Per il futuro di Mps la nostra strategia è di creare le condizioni perché ci sia una soluzione di mercato», aveva detto all'agenzia Reuters. Rispondendo a un editoriale dell'economista Francesco Giavazzi che qualche giorno prima aveva proposto alla Cdp di assumere il controllo di Mps, alienando le quote in Eni, Snam e Terna. Poi il dominus delle Fondazioni (azioniste della Cassa) nonché numero uno dell'ente Cariplo (azionista di Intesa), Giuseppe Guzzetti aveva messo le mani avanti: «È da vedere se Cdp può investire dei soldi in una banca ed è da appurare, in caso affermativo, a quali condizioni. Per dare stabilità alla banca c'è bisogno di qualcuno che la sposi». E ieri, Guzzetti, ha ribadito: «Io non ho nulla sul tavolo, chiedete a Cdp».

Riassumendo: Intesa spera che di Mps si occupi il mercato, le Fondazioni idem, Cdp spera che se ne occupi Intesa mentre il governo Renzi spera che a togliere le castagne senesi dal fuoco siano o Cdp o Intesa. Restano i crediti deteriorati in pancia al Monte (46,9 miliardi con un tasso di copertura del 48,5%) che cerca un partner specializzato nel recupero delle sofferenze dopo aver promesso di ridurle di 5,5 miliardi entro il 2018. E soprattutto resta da trovare uno sposo, invocato dalla Bce nel febbraio 2015.

Intanto, dal bilancio emergono i compensi dell'ad Fabrizio Viola, che ha una busta paga complessiva di 1,9 milioni (1,3 milioni nel 2014) e di Alessandro Profumo, presidente fino al 6 agosto, che ha percepito 186mila euro. Più del doppio rispetto all'anno prima.

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