«L'investimento di Cir in Sorgenia è stato un insuccesso». Si apre con un autodafé l'intervento del presidente Rodolfo De Benedetti all'assemblea della holding che riunisce le attività della famiglia (tra le quali L'Espresso, Sogefi e, per l'appunto, la periclitante azienda energetica).
Un'assise senza toni tragici quella che si è svolta ieri, convocata nell'ultimo giorno utile proprio per attendere la chiusura dell'accordo con le banche creditrici di Sorgenia. Intesa ancora da formalizzare, ma praticamente già in essere. Anzi, il figlio dell'Ingegnere ha voluto ricordare che il gruppo, a fine anni '90, «ha costituito da zero un'azienda che dopo dieci anni è arrivata a fatturare oltre 2 miliardi di euro e a creare circa 500 nuovi posti di lavoro». Un'avventura che nel solo 2013 ha significato 783 milioni di perdite che, senza l'intervento degli istituti di credito, avrebbero scritto da soli la parola «fine».
Dopo l'intesa raggiunta a inizio giugno, infatti, i creditori di Sorgenia (in prima fila Mps, esposta per 710 milioni) convertiranno 400 milioni - sugli 1,8 miliardi totali - in azioni, mentre hanno garantito un prestito convertendo da 200 milioni e nuova finanza per 256. «Ci vorranno alcuni mesi» per mettere tutto nero su bianco, ha ricordato De Benedetti junior, precisando che occorrerà convocare l'assemblea di Sorgenia per approvare l'accordo e in base a quello si potrà firmare l'accordo di standstill con i 19 istituti creditori. Ma il vero punto ancora aperto è la clausola di earn out. le banche, infatti, non intendono certo tenere in portafoglio un'azienda energetica. La venderanno in toto o «a pezzi» (anche se il valore delle centrali termoelettriche con la crisi attuale è molto basso). Cir, che ha in pancia il 53% (ma è destinata a diluirsi al 2% dopo gli aumenti), e all'austriaca Verbund (46%) vorrebbero monetizzare l'eventuale cessione, ma gli istituiti non intendono garantire a lungo il paracadute (massimo due anni), al contrario degli attuali soci che lo vorrebbero almeno quinquennale. Considerato che le banche devono rivalersi dei crediti, le cifre in ballo non sono molto alte: si tratta di qualche decina di milioni.
Questa materia, però, riguarda il futuro, quello che la famiglia De Benedetti già traguarda con azioni anche di valore simbolico. Esempio ne è l'uscita dal board della holding del fondatore Carlo De Benedetti (che manterrà il ruolo di presidente onorario), a testimonianza della «devoluzione» del controllo ai figli. Che saranno tutti in cda: ieri l'assemblea ha nominato consiglieri anche Marco, managing director di Carlyle, ed Edoardo. Le chiavi della macchina continueranno a restare in mano all'ad Monica Mondardini che riveste eguale carica anche nella controllata Espresso. «Siamo determinati a ripartire - ha concluso Rodolfo De Benedetti - la Cir è solida e ha in portafoglio aziende di valore».
Prima del futuro, però, viene il presente. Nei primi tre mesi del 2014 Cir ha visto un calo del 13,8% dei ricavi a 1,06 miliardi per effetto di Sorgenia (-25% di fatturato e perdita di 14 milioni) e ha conseguito una perdita netta di 2,6 milioni (utile di 6,4 milioni nel primo trimestre 2013), indipendente dal comparto energia che aveva affossato il risultato 2013 (-270 milioni).
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