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Landini disco rotto: vuole un'altra raffica di tasse

Maurizio Landini basa l'agenda economica della Cgil sulla tassazione agli extraprofitti. Ma è una strategia che rischia di essere controproducente per la Cgil

Landini disco rotto: vuole un'altra raffica di tasse

Maurizio Landini ha le idee chiare sulle manovra ideale per finanziare un eventuale politica di sostegno ai redditi e taglio delle bollette energetiche sotto stress: ovvero il rafforzamento del provvedimento sugli extraprofitti delle major energetiche. "Non parliamo di utili ordinari, ma di extraprofitti, frutto di speculazione e dell'impennata dei prezzi, e in tutta Europa si è aperta la discussione per intervenire", ha dichiarato il segretario della Cgil parlando con Il Giorno. A dire il vero, va detto, il governo Draghi ha provveduto a un'imposizione fiscale sugli utili extra dei colossi dell'energia, ma per Landini non è abbastanza e sugli extraprofitti bisogna intervenire più intensamente: "Qui sono stati tassati solo al 25 per cento: c'è il 75 per cento di quegli extra-profitti che sono lì. C'è un'operazione immediata da fare", aggiunge l'ex dirigente della Fiom, che però resta sul vago.

Cosa sono gli extraprofitti? In che misura identificarli? A che compagnie fare riferimento? Landini non risponde a queste domande e sembra tornare al clevage ideologico del mondo sindacale di Sinistra che vede nell'estrazione fiscale un fine in sé, un simulacro di redistribuzione. Strana eterogenesi dei fini che riguarda un sindacato sempre più impegnato nella politica attiva su ogni fronte, fuorché quello che più gli compete: il lavoro. Landini non cita manovre possibili, né scenari di riferimento: il suo disco è rotto sul tema extraprofitti. Come se solo il prelievo degli utili extra, difficili da identificare, su un campione preciso di imprese energetiche bollate automaticamente come speculatrici e che comunque nel Paese continuano a generare reddito e occupazione fosse la chiave di volta per la risoluzione di ogni problema.

Landini non pare informato del fatto che anche Francesco Gattei, Chief Financial Officier di Eni, ha evidenziato parlando con Il Sole 24 Ore e commentando a caldo l'aumento da 550 milioni a 1,4 miliardi del prelievo per gli extraprofitti del Cane a sei zampe, il fatto di ritenere "ragionevole" la promozione di "un'addizionale sul profitto", limitandosi ad aggiungere che "è necessaria una base imponibile trasparente, chiara e facilmente rappresentabile". Quel che sembra mancare nel ragionamento di Landini. A cui, aggiungiamo, sfugge il fatto che le risorse per ovviare alla mancata decisione del governo Draghi di procedere con un nuovo scostamento di bilancio si possono già ritrovare nelle casse dello Stato che, come sottolineato su queste colonne, ha estratto da cittadini e imprese molte più risorse a causa della crisi energetiche: le imposte indirette sono cresciute del 16,9% per effetto delle dinamiche legate all'energia, da 79,340 a 92,735 miliardi di euro, un aumento di 13,395 miliardi di euro di entrate per le casse pubbliche.

Le sue parole di fine agosto

Landini si era chiesto due settimane fa se fosse "costituzionale impedire alle persone di arrivare alla fine del mese" per gli effetti del caro-energia. Domanda giusta e legittima che mostrava la preoccupazione per una crisi energetica diventata sempre più travolgente ma a cui, in sostanza, il capo della Cgil delega ogni possibile soluzione al prelievo estrattivo sugli extraprofitti. Non pensando, inoltre, al fatto che anche le compagnie produttrici e distributrici di gas e elettricità devono, per i costi di servizio e di acquisto della materia prima, mettere in conto una serie di esborsi extra nei mesi a venire. Anzi, la fortuna per l'Italia sinora è stata quella di dover evitare interventi a salvezza dei colossi energetici in crisi, come accaduto in Francia, Germania, Austria, Olanda, Svezia e Finlandia con esborsi plurimiliardari da parte dei governi.

L'arroccamento ideologico di Landini sugli extraprofitti da tassare per trovare la panacea alla crisi energetica getta un'ombra su altre proposte più ragionevoli, come quella di innalzare le soglie di esenzione dai rincari delle bollette per i redditi più bassi, promosse dalla Cgil e sostanzialmente non ancora a un serio ragionamento sul futuro del Paese un'istituzione come il sindacato, che ha mancato di promuovere vere battaglie per il lavoro in questi mesi. La decisione di guardare al salario minimo come totem piuttosto che alla difesa e al rafforzamento dei contratti collettivi di lavoro in senso anti-inflattivo e favorevole ai lavoratori è stato un primo punto di partenza in materia.

La caccia agli extraprofitti conferma un atteggiamento che mostra un sindacato in crisi e sempre più in difficoltà nel tentativo di proporsi come legittimo interprete delle necessità dei lavoratori.

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