Appena ricevuto il premio di «banchiere centrale dell'anno» assegnatogli dalla rivista specialistica Central Banking per «il tenace impegno e la grande leadership dimostrata nel ripristinare un clima di fiducia nell'eurozona», Mario Draghi non ha perso tempo per recapitare ieri sera alla commissione Affari economici dell'Europarlamento, a Strasburgo, una sorta di memoria di auto-difesa. È la stessa inviata dal commissario agli Affari economici, Olli Rehn. Obiettivo: proteggere l'operato della troika, senza arretrare di un centimetro, dagli attacchi di quegli europarlamentari che hanno criticato l'impostazione dei programmi di aiuto e puntato l'indice sugli errori di previsione economica che hanno finito per mettere in ginocchio i Paesi sotto salvataggio.
Accuse che la Bce ha sempre respinto. Ieri, lo ha fatto contrattaccando: se le misure non hanno sortito gli effetti sperati è solo per «l'assunzione di responsabilità insufficiente da parte degli Stati» e a causa di «forti resistenze». Inoltre, «le strategie seguite hanno tenuto conto della situazione economica effettiva e della necessità di garantire equità sociale». Non c'è però traccia delle divergenze con l'Fmi (terzo braccio della troika) sulla ristrutturazione del debito. L'anno scorso Christine Lagarde aveva fatto autocritica, ammettendo che gli effetti del rigore erano stati fortemente sottovalutati.
Una conclusione cui è arrivato anche l'hedge fund Tortus Capital Management in un'analisi dedicata al Portogallo, tra i Paesi oggetto di salvataggio. Secondo il fondo, il rapporto deficit-Pil è destinato a peggiorare quest'anno (la troika sostiene il contrario), il debito pubblico (stimato da Tortus al 147% contro il 128% ufficiale) e privato è troppo alto per essere sostenibile.
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