Apple non deve pagare. L'Irlanda rifiuta con forza il diktat della Ue, che le ha imposto di far pagare alla società statunitense 13 miliardi di tasse arretrate, presentando un ricorso in appello alla decisione Antitrust del 10 novembre scorso.
E dunque, anche se l'iniezione di liquidità sarebbe un toccasana per le casse del governo irlandese e rappresenterebbero ben poca cosa di fronte all'enorme liquidità di Apple, stimata 100 miliardi di dollari, l'Irlanda punta i piedi. Infatti obbligare Apple a pagare rappresenterebbe un pesante precedente capace di far scappare dall'«Isola verde» tutte le multinazionali che lì hanno trovato un'oasi fiscale. Oltretutto l'Inghilterra fuori dalle regole Ue, dopo la Brexit, sta facendo di tutto dal punto di vista fiscale per rendersi attrattiva nella veste di quartier generale europeo per moltissime aziende.
Insomma se Dublino non sta attenta ci potrebbe essere un vero e proprio esodo che condurrebbe sull'altra sponda le aziende statunitensi che hanno scelto l'Irlanda come sede per l'Europa. «La Commissione europea non ha le competenze - ha detto il ministro delle finanze irlandese- secondo le regole sugli aiuti di Stato, a sostituire unilateralmente il proprio punto di vista sull'estensione geografica della politica fiscale di uno Stato membro a quello dello stesso Stato membro». È questo uno degli argomenti che il governo farà valere nella causa contro la Commissione europea presso la Corte di Giustizia Ue relativa alla decisione dell'Antitrust. L'accusa irlandese è che la Commissione «ha oltrepassato i propri poteri e violato la sovranità» dell'Irlanda. Anche il gruppo americano ha deciso di ricorrere alla Corte di Giustizia Ue. Saranno tre gli argomenti che il governo irlandese sosterrà nel giudizio. Il primo è che il fisco ha agito in accordo alla legge nazionale trattando tutti i contribuenti in modo equo senza concedere accordi o favori. L'ufficio delle Entrate ha semplicemente indicato che l'operazione con Apple era possibile sulla base delle leggi di allora. Il secondo è che la decisione dell'Antitrust europeo solo apparentemente riguarda le questioni di concorrenza, in realtà costituisce una intrusione nella sovranità nazionale nel diritto dello Stato irlandese di compiere le proprie scelte fiscali. Il terzo è tecnico e si poggia sugli orientamenti Ocse sulla pratica delle sussidiarie che vendono servizi o beni ad altre sussidiarie all'interno dello stesso gruppo, che assicurano che il prezzo sia fissato a un livello realistico e vicino al valore di mercato. Si tratta di uno standard che ha ridotto i margini di aggiramento delle norme fiscali.
Il governo irlandese ricorda però che tali orientamenti sono entrati in vigore nel 2010, mentre la Commissione vorrebbe applicarli a periodi precedenti, quando cioè tali regole non esistevano. E il periodo incriminato per Apple va dal 1991 anno in cui l'Irlanda è entrata nell'Ue al 2014, anno in cui l'aliquota della società di Cupertino è scesa, in Irlanda, fino allo 0,005%.
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