Politica economica

Eolico a rischio di stallo con Siemens. Ma l'Italia fa affari anche controvento

Il colosso tedesco dell'energia Siemens nei guai per l'eolico offshore. Tra progetti cancellati e costi in aumento, la crisi coinvolge anche altre società. L'Italia resta immune e aumenta le entrate

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Soffia il vento del pessimismo sull'energia eolica. Dopo anni di investimenti massicci, il settore sta attraversando un periodo di incertezza. A tenere con il fiato sospeso le grandi aziende è soprattutto l'offshore, le centrali galleggianti.

Il 2023 rischiava di essere un annus horribilis per Siemens Energy se Berlino non fosse intervenuta con un piano di aiuti da 15 miliardi: 7,5 saranno stanziati come garanzie dal ministero dell'Economia, il resto sarà coperto da banche e altri stakeholder coinvolti nel salvataggio. Già indebolita dal downgrade di S&P, la società tedesca ha registrato perdite miliardarie imputabili alla sua controllata Siemens Gamesa. Le azioni di quest'ultima sono crollate quando è emerso che la qualità degli ultimi lotti di turbine prodotti non ha rispettato gli standard fissati dall'azienda. Siemens Gamesa ha 110 miliardi di ordini in arretrato e ha da poco comunicato di essersi ritirata dalla costruzione di un parco offshore in Virginia, rinunciando a una commessa da 200 milioni di dollari.

Pesano i tempi prolungati e i costi da fronteggiare, dalla materia prima alla manodopera. «Il mercato ha un problema», ha ammesso Richard Voorberg, ceo di Siemens energy. «Se si guarda ai grandi produttori, stanno tutti perdendo denaro. Non è un modello sostenibile». E una delle conseguenze sarà il rallentamento della transizione energetica.

Gli Usa hanno in programma di portare la capacità rinnovabile derivante dal wind offshore a 30 gigawatt entro il 2030, un target che ora si scontra con le difficoltà incontrate dai fornitori. A inizio novembre la danese Orsted ha cancellato i progetti Ocean Wind 1 e Ocean Wind 2 in New Jersey, citando il «cambiamento radicale dei fattori macroeconomici, l'inflazione, l'aumento dei tassi» e «i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento globale». E ora più della metà dei contratti firmati tra aziende e Stati americani per la realizzazione di centrali offshore, sono stati rescissi o a rischio cancellazione. Un brutto colpo alle aspirazioni della Casa Bianca di diversificare le fonti di approvvigionamento.

Non è però sintomatico di una crisi generalizzata, quanto più un fenomeno legato alla congiuntura economica globale sfavorevole. Lo dimostrerebbe il caso dell'Italia dove Fincantieri ha incrementato i ricavi dell'1,3% grazie anche alle vendite dell'eolico offshore che stanno trainando le entrate.

L'Italia, pur rappresentando una piccola fetta di un mercato vastissimo, gioca perciò con buoni propositi la sua partita e si conferma fenomeno positivo in un momento negativo per i colossi stranieri dell'energia eolica.

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