Europa e Stati Uniti divisi anche sulle emissioni

Bruxelles teme problemi produttivi. E Vw deve liberarsi di 350mila auto stoccate nel deserto

Europa e Stati Uniti divisi anche sulle emissioni

Donald Trump è pronto a un nuovo cambio di rotta, mandando alla deriva uno dei provvedimenti più importanti varati dal suo predecessore, Barack Obama. Si tratta del Clean power plan che fissa gli obiettivi di efficienza nei consumi e sulle emissioni degli autoveicoli. Il documento di 16 cartelle dovrebbe essere presentato nei prossimi giorni da Scott Pruitt, il discusso capo dell'Agenzia federale Usa per l'ambiente il quale ha più volte sottolineato di «non credere che l'anidride carbonica sia la causa primaria del riscaldamento del clima terrestre». Pruitt, legato in passato a industriali e lobbisti per bloccare normative sull'inquinamento, aveva anche definito inutile l'accordo di Parigi sul clima. La decisione di Trump, preoccupato che i pesanti e obbligati investimenti green possano ritorcersi sui livelli di occupazione nel settore, è guardata con favore dall'industria delle quattro ruote. La stessa che, attraverso i suoi componenti, è già impegnata in una profonda e costosa trasformazione produttiva su due fronti: elettrificazione e guida autonoma.

A emergere, però, dopo quella dei dazi, è una nuova frattura tra Usa e Ue, dove i limiti alle emissioni imposti da Bruxelles sono, invece, sempre più stringenti. «E in mezzo al guado - commenta Stefano Maullu, eurodeputato e membro della commissione Ambiente - ci sono le Case automobilistiche alle prese con due visioni diverse non di poco conto. Si profila, a questo punto, un dumping industriale oltre che ambientale, a svantaggio dei sistemi produttivi nei due continenti». Per Gianmarco Giorda, direttore di Anfia, associazione che rappresenta la filiera automotive italiana, «l'argomento CO2 è globale, non solo americano; sarebbe utile un'azione politica ambientale più coerente tra le varie aree geografiche». Trump, comunque, dovrà vedersela con la California, Stato dove gli standard ambientali sono elevati e che ha già affilato le armi in vista di una battaglia legale contro il blitz della Casa Bianca.

Sembra intanto difficile, secondo alcuni osservatori, che il cambio di rotta imminente voluto da Trump possa in qualche modo condizionare la decisione delle autorità americane a proposto del dieselgate che vede Fca sul banco degli imputati. L'accusa riguarda l'utilizzo di un software illegale su 104.000 veicoli diesel tra Ram e Grand Cherokee prodotti tra il 2014 e il 2016. Le parti stanno negoziando da tempo e il verdetto (multa e richiami) dovrebbe arrivare non prima di giugno. Gli stessi modelli usciti dalle fabbriche nel 2017 hanno già ottenuto il via libera alla certificazione.

C'è poi Volkswagen sopra cui continua ad aleggiare il dieselgate. Il ritorno alla realtà riguarda proprio gli Usa, dove è nato lo scandalo delle centraline taroccate, in particolare il destino delle 350.000 vetture che il gruppo ha dovuto ricomprare. Tutte queste auto sono parcheggiate sotto il sole cocente nel deserto e in stadi abbandonati, in tutto 37 siti.

L'operazione di riacquisto è costata ai tedeschi 7,4 miliardi di dollari. La società ritiene che «possano essere restituite al commercio o esportate una volta approvate le opportune modifiche alle emissioni». Almeno 20mila, però, risulterebbero essere state demolite.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica