Ex Ilva, fumata nera dal cda. Fuoco incrociato su Acciaierie

Dopo 4 ore di vertice resta sospesa la successione di Bernabè. Nessuna proposta sugli apporti di capitale. Gelo del Tesoro

Ex Ilva, fumata nera dal cda. Fuoco incrociato su Acciaierie
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Resta alta la tensione tra Invitalia e ArcelorMittal, i due soci di Acciaierie d'Italia (ex Ilva), mentre sul fronte governativo è gelo dal Tesoro sull'intera vicenda. Del resto, l'intervento in Commissione del ministro per il Made in Italy Adolfo Urso è stato definito dai sindacati «surreale». Dunque, un'altra giornata da dimenticare per l'assurda trattativa che riguarda il polo siderurgico di Taranto e il cui esito torna ad essere più che incerto. Ieri, dopo un cda fiume di Acciaierie d'Italia durato oltre quattro ore, le parti, lontane da una intesa per la sostituzione del presidente Franco Bernabè che si è reso dimissionario, si sono aggiornate alla settimana prossima anche in vista delle lapidarie richieste arrivate ieri dal Tesoro. «Le dinamiche di effettiva calibrazione dell'entità delle risorse necessarie a consentire il prosieguo dell'attività della società (ex Ilva, ndr) saranno indicate dall'assemblea dei soci, che dovranno intervenire in proporzione alla propria quota di capitale sociale», ha detto ieri il ministro Giancarlo Giorgetti, lasciando intendere che se il socio privato non metterà un euro non si vede perché lo Stato debba sopperire lasciandolo alla guida del complesso. Peraltro, l'eventuale apporto presuppone che vi sia un'intesa tra i soci, che al momento pare lontanissima per la continua indisponibilità del privato a fare la sua parte. Quanto al fantomatico Memorandum, il ministro Urso - chiamato in Commissione alla Camera ha ammesso l'esistenza di un accordo firmato l'11 settembre tra il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto e Arcelor Mittal, definendolo però «un piano di lavoro che deve ancora essere trasformato in contratto» . Dopo una ricostruzione dei fatti degli ultimi anni, Urso ha poi ammesso che la produzione è gravemente compromessa ma che le «interlocuzioni continuano» anche in nome «della strategicità nazionale del sito tarantino».

Dura la reazione del sindacato. «Non c'è stata nessuna attribuzione di responsabilità al socio privato che in questi quattro anni ha dimezzato la produzione, ha smesso di investire sulle manutenzioni e sulla sicurezza degli impianti, ha collocato in cassa integrazione 3mila lavoratori, non ha rispettato l'impegno al reintegro di quelli in amministrazione straordinaria e non ha completato l'ambientalizzazione», ha commentato il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, spiegando che «al contrario è stato accumulato un debito verso i fornitori di oltre 2 miliardi, affamando le aziende fornitrici e i lavoratori dell'appalto, ed ha bruciato risorse pubbliche per oltre 1 miliardo».

«Noi continuiamo a chiedere le audizioni parlamentari per spiegare ancora una volta la reale condizione degli stabilimenti e il 7 novembre ci presenteremo a Palazzo Chigi per conoscere, ci auguriamo, la verità», ha concluso. L'auspicio è che questa volta sia il ministro Fitto a fornire le spiegazioni del caso.

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