Ma siamo proprio sicuri che questo sia il momento più adatto per portare il pink power alla Federal Reserve? La domanda, sia chiaro, non suoni misogina. Dopo 100 anni, sarebbe anche ora di vedere una donna - la prima - alla guida della banca più potente del mondo. Ciò che però conta è capire se Janet Yellen, che sopravanza di parecchie incollature due competitor di razza come Tim Geithner e Larry Summers nella corsa per la poltrona che Ben Bernanke lascerà alla fine del prossimo gennaio, sia la persona più indicata a gestire la delicatissima fase di rimozione delle misure di stimolo economico.
Diciamolo subito: seppur nell'ombra e sempre un po' defilata, la Yellen è stata l'artefice principale delle misure di quantitative easing concepite sotto l'impero Bernanke. Una suggeritrice dietro le quinte in piena regola, al punto che è stata sua la doppia intuizione di non legare ad alcun vincolo temporale gli stimoli economici e di saldare invece gli aiuti alla lotta alla disoccupazione. Già questa duplice impostazione rivela la vera natura della Yellen, pronta a tutto pur di agevolare la crescita economica e mandare in congedo l'esercito dei jobless, in uno spostamento di accento netto rispetto al mantra anti-inflazionistico della Bce. All'ex professoressa di Harvard, allevata con dosi massicce di keynesismo e nutrita dai precetti redistributivi di James Tobin (di cui è stata allieva), dell'inflazione importa un fico secco. Prima crescere, poi filosofare sui prezzi.
Seduta alla sinistra di Obama, la «marxista» Yellen dovrà fare ciò che meno sa fare: una politica restrittiva, poco gradita ai mercati e alla stessa Corporate America in quanto potenzialmente dannosa per la ripresa. Il rischio? Fare la stessa fine di quei centravanti, bravissimi ad attaccare, ma sciagurati quando c'è da difendere. Anche in economia, non è per tutti il ruolo dello stopper.
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