La più colomba tra le colombe della Federal Reserve (la definizione è del New York Times) ha tirato fuori gli artigli del falco? Così è parsa ai più Janet Yellen l'altro ieri, durante il battesimo davanti ai cronisti. Quel riferimento temporale al rialzo dei tassi, collocato all'incirca sei mesi dopo il termine del tapering previsto il prossimo autunno, ha avuto su molti un effetto spiazzante. In realtà, l'erede di Ben Bernanke non ha detto nulla di nuovo e, men che meno, aveva l'intenzione di apparire hawkish. L'ex allieva di Tobin resta saldamente ancorata all'idea di una politica monetaria espansiva, ossessionata com'è dall'obiettivo della piena occupazione. L'America dalla crescita più anemica del previsto è ancora ben lontana da questo obiettivo, e l'aver cambiato la forward guidance, sganciando i tassi dall'andamento della disoccupazione, è un segnale di come, d'ora in poi, sarà una miscela di fattori a orientare le scelte della Banca centrale Usa.
Così come non è detto che la riduzione degli aiuti continui a seguire il percorso di tagli lineari (tre nell'ultimo trimestre per complessivi 30 miliardi di dollari) visto finora. A scandire il ritmo dell'exit strategy sarà, piuttosto, l'andamento dell'economia.
Ecco perchè probabilmente esagera chi ha già cominciato a fasciarsi la testa in vista di una stretta monetaria che forse arriverà solo nella primavera-estate 2015. Da qui ad allora, tutto può cambiare. Perfino le posizioni all'interno del Fomc, la stanza dei bottoni dove si decidono gli indirizzi di politica monetaria. Lì, da sempre, esistono spaccature tra quanti hanno un occhio attento e critico verso l'inflazione (i falchi) e chi invece (le colombe) tende a privilegiare la crescita. Da alcuni documenti diffusi mercoledì scorso dalla stessa Fed, le divisioni appaiono molto chiare. Come si può notare dal grafico, fino alla fine del 2014 il board è compatto: i tassi non vanno toccati. Con una sola eccezione, verosimilmente quella del più falco di tutti, il presidente della Fed di Dallas, Richard Fisher. Per il 2015, tuttavia, le posizioni si fanno più frastagliate: si passa dagli appena due favorevoli al mantenimento dello status quo, alla posizione estrema espressa da chi vorrebbe che il costo del denaro venisse alzato al 3%. Sono comunque ben cinque coloro che ritengono appropriato un livello dei tassi all'1%. Nel 2016, poi, le divergenze aumentano ulteriormente.
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