Economia

Ferrovie in Borsa, ma senza i binari

Ferrovie ai privati nel 2016 ma sul mercato non potrà finire più del 40%, mentre la rete resterà in mano pubblica. Il consiglio dei ministri ieri ha approvato in via preliminare un decreto del premier che ora verrà inviato alle Commissioni parlamentari competenti per acquisire i pareri previsti. In particolare, si legge nella nota di Palazzo Chigi, il Dpcm regola l'alienazione di una quota della partecipazione nella società non superiore al 40%, disponendo che tale cessione - che potrà essere effettuata anche in più fasi - si realizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti Fs, e a investitori istituzionali italiani e internazionali, e quotazione sul mercato azionario. Potranno essere previste per i dipendenti Fs anche forme di incentivazione, come del resto è stato già fatto con l'Ipo delle Poste, in termini di quote dell'offerta riservate (tranche dell'offerta riservata e lotti minimi garantiti) e di prezzo (ad esempio, bonus share maggiorata rispetto al pubblico indistinto) o di modalità di finanziamento.Lo sbarco in Borsa delle Ferrovie è prevista nel corso del 2016, compatibilmente con le condizioni del mercato. Ma a Piazza Affari non finirà la proprietà dell'infrastruttura, ovvero della rete che «deve restare al 100% in mano pubblica», ha ribadito ieri il presidente di Fs, Marcello Messori sottolineando le «sensibilità differenti». Messori ha sempre ritenuto che prima di cedere una quota delle Fs (ma non i binari che dovrebbero restare pubblici) sia indispensabile ristrutturare in profondità tutta l'azienda. Solo in questo modo la privatizzazione non si trasformerà in una svendita di un patrimonio pubblico. Lapidario, il commento del presidente su un possibile ricambio al vertice in vista del cda del 26 novembre: «Era convocato da tempo con temi ordinari. Io ci sarò». L'ordine del giorno prevede ufficialmente un cambio al timone della controllata Trenitalia (il presidente Marco Zanichelli si è già dimesso lo scorso 2 novembre) ma la vigilia del board è stata scaldata dalle voci su un'imminente sostituzione dei vertici della stessa capogruppo, arrivati ormai per Renzi al capolinea. A traballare non sarebbe solo la poltrona di Messori ma anche quella dell'ad Michele Elia, entrambi nominati a fine maggio 2014. Ed entrambi convocati mercoledì scorso dal premier, irritato dai rapporti difficili tra i due: Elia avrebbe voluto una quotazione in blocco della holding, Messori una valorizzazione graduale degli asset. Tensioni che avrebbero rallentato il processo di privatizzazione della società controllata dal Tesoro mentre il governo deve rispettare gli obiettivi del Def (Documento di economia e finanza) e gli impegni presi con la Commissione europea, che prevedono cessioni nel 2016 per circa 8 miliardi, lo 0,5% del pil. Su un possibile ricambio al vertice in vista del cda del 26 novembre, ieri Messori si è limitato a commentare: «Era convocato da tempo con temi ordinari. Io ci sarò».

Mentre Elia ha osservato che «le scelte sulla privatizzazione sono tutte ed esclusivamente dell'azionista».

Commenti