Ford a un passo dall'addio a Londra

Pesa la Brexit, stimati costi in più per 1 miliardo di sterline. A rischio 3.800 posti

Ford a un passo dall'addio a Londra

La beffa e anche il danno: a Dagenham (190.000 abitanti), a Est di Londra, e a Bridgend (oltre 134.000 cittadini), nel Galles, la maggior parte della popolazione si era espressa per l'uscita del Regno Unito dall'Ue; e ora, quando sono in corso tutte le pratiche per staccare l'Isola dal resto dell'Europa, queste due realtà urbane rischiano di perdere circa 3.800 posti di lavoro. Un colpo all'economia e all'occupazione delle due aree, ma anche la preoccupazione che quanto starebbe per decidere il colosso americano dell'auto, Ford Motor Company, possa essere imitato da altri.

Il gruppo guidato da Mark Fields, peraltro reduce da una seconda trimestrale sotto le aspettative, sta valutando la possibilità di chiudere gli stabilimenti, in Essex e Galles, che producono i motori che vengono esportati nel Continente. La decisione nasce da un'analisi delle conseguenze economiche della Brexit sui conti di Ford, cioè costi ulteriori per 1 miliardo di sterline in un biennio. Da qui l'inevitabile forbice allo scopo di coprire le spese non previste. Altri problemi derivano dal cambio sterlina/dollaro, che ha visto la valuta di Sua Maestà perdere quota con la conseguenza che i listini dei modelli venduti nel Regno Unito saranno presto ritoccati in alto. Ad anticipare la notizia è stato The Independent, che ha anche ricordato come il gruppo Usa non produca più automobili nel Regno Unito ormai dal 2002.

Se alla fine i due impianti saranno tagliati, Ford Motor Company sarà la prima delle tante Case auto (Fca non è presente) che producono in Gran Bretagna a reagire con le forbici alla Brexit. Anche l'altra Big di Detroit, Gm, è in allarme. Il gruppo capeggiato da Mary Barra, che a Luton ed Ellesmere produce auto con il marchio Vauxhall (nel Vecchio Continente nascono come Opel), ha già messo in conto perdite, per colpa della Brexit, nell'ordine di 400 milioni nel secondo semestre del 2016. A preoccupare il quartier generale di Detroit sono la svalutazione della sterlina, il possibile calo della domanda di modelli Vauxhall e la sussistente mancanza di chiarezza sui futuri rapporti commerciali tra Regno Unito ed Europa.

Preoccupate e alla finestra sono anche le giapponesi Nissan Toyota e Honda, le stesse che avevano scelto la Gran Bretagna per installarvi le allora «fabbriche cacciavite» allo scopo di diventare produttori europei e aggirare, in questo modo, i limiti legati al contingentamento sull'importazione di modelli dal Sol levante. Attenta è anche Bmw, che Oltremanica produce Mini e Rolls-Royce. Ma lo sono anche i costruttori nazionali come Jaguar Land Rover, Aston Martin, McLaren (Daimler) e Bentley (Gruppo Volkswagen). Il Regno Unito, inoltre, ospita anche la produzione di alcune importanti scuderie di F1.

L'industria automobilistica inglese ha intanto chiuso il primo semestre dell'anno con un risultato record, oltre 900mila auto sfornate (+13% rispetto ai primi 6 mesi del 2015), il miglior dato dal 2000. E oltre il 75% dei veicoli che nascono in Inghilterra vengono destinati ad altri mercati. Tra gli addetti ai lavori, però, più che l'entusiasmo prevale la consapevolezza che i grossi problemi potrebbero essere solo all'inizio.

Ihs Automotive, a esempio, stima che il mercato britannico chiuderà il 2016 con immatricolazioni in crescita dell'1% rispetto al +3,2% previsto a inizio anno. Tra i pochi a palesare tranquillità c'è Sergio Marchionne, ad di Fca: «Non ci saranno effetti negativi per noi».

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