Economia

Gazprom ricompra il South Stream

L'Eni dovrebbe incassare 300 milioni, liquidati anche Edf e Wintershall. Resta il nodo Saipem

Operai Saipem al lavoro
Operai Saipem al lavoro

Eni archivia il dossier South Stream, incassando un maxi-assegno da Gazprom. I russi hanno annunciato ieri il riacquisto delle partecipazioni dei soci di minoranza (Edf, Eni e la tedesca Wintershall) ponendo così ufficialmente termine al progetto già bocciato a inizio dicembre dal presidente russo Vladimir Putin.

Un gasdotto che, nelle intenzioni, avrebbe dato vita a una nuova rotta del gas dalla Russia all'Europa centro-meridionale senza transitare dall'Ucraina. E bypassando, dunque, un'area ad alto rischio politico-commerciale. Uno stop, quello imposto a inizio dicembre dopo il braccio di ferro tra Mosca e Bruxelles, che ha mandato al tappeto Eni e Saipem (impegnata per la capogruppo nel progetto) per diverse sedute di Borsa. Ora il colosso italiano e la sua controllata potrebbero limitare i danni grazie all'accordo tra le parti. Come detto, il colosso russo (a cui fa capo il 50% della South Stream Bv) liquiderà, infatti, le partecipazioni di Eni (20%), Edf (15%) e Wintershall (15%). Il prezzo al momento non è noto, ma Gazprom dovrebbe garantire la restituzione dell'equity fin qui investita e remunerarla a un buon tasso d'interesse. In base ai contratti stipulati nel giugno 2007, quindi, il Cane a sei zampe dovrebbe portare a casa almeno 300 milioni. Ma se per Eni la strada sembra tracciata, diverso è il caso di Saipem che ha sottoscritto contratti per un valore di 2,5 miliardi di euro che attendono ancora di essere sciolti (con le penali del caso).

Sullo sfondo resta, infatti, anche l'ipotesi che Saipem possa continuare a partecipare al progetto come costruttore se il gasdotto restasse in vita con un diverso tracciato (via Turchia).

La notizia della «liquidazione» russa, arrivata a poche ore dalla chiusura di Piazza Affari, non ha comunque scaldato i titoli penalizzati ieri da altri fattori: la crisi geopolitica in Libia, i rischi sul rating, i corsi del petrolio. Eni, che da inizio anno ha perso il 14,5%, ha chiuso la seduta in calo dell'1,4% a 14,72 euro. Secondo gli operatori, a pesare sono i nuovi scontri in Libia che hanno nettamente ridotto la produzione nel Paese nordafricano (da 800mila barili al giorno a meno di 300mila). Nonché la minaccia dell'agenzia di rating S&P che, nei giorni precedenti il Natale, ha posto sotto osservazione con implicazioni negative i rating del gruppo a causa di una generazione di cassa negativamente influenzata dal mercato petrolifero. «C'è una forte pressione per un abbassamento del rating di un gradino», scrive S&P annunciando una decisione entro marzo. A pesare, in particolare sul debito, è anche il congelamento della cessione di Saipem che, a cascata, ha bloccato la vendita del 5% di Eni da parte del governo Renzi. Insomma, a conti fatti e con il petrolio in discesa da giugno, il momento di mercato non è dei più favorevoli per i colossi oil italiani.

Saipem ieri in Piazza Affari ha chiuso in calo dello 0,33% e il titolo, da inizio anno, è passato da 15,5 euro a 8,9 euro.

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