Generali, Mediobanca pronta a scendere

Nagel: «Quota cruciale ma neppure il 10% è un dogma». Utili a 750 milioni (+24%)

L'ingresso della storica sede triestina delle Assicurazioni Generali
L'ingresso della storica sede triestina delle Assicurazioni Generali

La partecipazione in Generali non è «un dogma» per Mediobanca che intanto chiude il bilancio 2016-2017 (l'esercizio è terminato a giugno) con 750 milioni di utile (+24%) a fronte di 2,19 miliardi ricavi (+7%), il massimo di sempre. Ma torniamo a Generali, Mediobanca è quindi pronta rivedere il 13,24% detenuto nel Leone di Trieste e a iniziare a sbrogliare quell'intreccio di quote e partecipazioni che finora hanno caratterizzato lo scenario finanziario italiano. Unendo a tutt'oggi a doppio filo Unicredit (primo socio in Piazzetta Cuccia con l'8%), Mediobanca e appunto il Leone di Trieste, custode in ultimo di oltre 70 miliardi di debito italiano. Il piano industriale di Mediobanca prevede già la riduzione della partecipazione nel gruppo assicurativo al 10% entro il 2019. Ma il messaggio trasmesso ieri dall'ad Alberto Nagel, nel corso della presentazione del bilancio 2016-17, appare diverso e potrebbe persino lasciare intravedere in futuro una eventuale futura uscita.

Certo non si tratterebbe comunque di un'ipotesi a breve termine: la sola partecipazione detenuta dalla banca d'affari in Generali vale 3 miliardi circa dei suoi 7,8 miliardi di capitalizzazione. Ma rispondendo a una domanda sulla possibilità per Mediobanca di scendere sotto il 10% previsto dal piano e in relazione ad alcune ipotesi formulate in questi ultimi giorni da la Repubblica che parlava del possibile dimezzamento dell'attuale partecipazione, il top manager ha detto: «Se la nostra crescita richiedesse più capitale, sicuramente sarà un obbligo del management di mobilizzare le risorse di gruppo senza chiedere sacrifici agli azionisti». «I nostri ragionamenti - ha proseguito Nagel - sono basati sull'impatto sull'utile per azione (la partecipazione rende il 17% all'anno ed è in carico a 17 euro per azione ndr), sulla dotazione di capitale e sulla forza del gruppo. Non ci sono dogmi, ma ragionamenti basati su questi elementi». Non solo. «Se dovessimo trovare una buona opportunità di M&A, potremmo considerare di usare capitale dalla quota di Generali, per finanziare l'operazione» ha aggiunto ancora Nagel.

Se Generali non è più «un dogma», tanto meno lo sono le altre partecipazioni dell'ex salotto buono di Piazza Affari che punta sempre di più a rafforzarsi nel redditizio wealth management (dove oggi il gruppo gestisce 59,9 miliardi di masse e registra commissioni per 203 milioni), oltre che nei suoi storici punti di forza: il mondo corporate e quello retail. Sono quindi potenzialmente in vetrina le eredità degli ex salotti buoni: il 6,1% di Italmobiliare e il 6,6% di Rcs su cui peraltro Nagel ha espresso apprezzamenti dopo la battaglia a colpi d'Opa che ha contrapposto lo scorso anno Urbano Cairo ai soci storici del gruppo, Mediobanca compresa. La banca valuterà «in base allo sviluppo delle prospettive» se mantenere quota che è iscritta a bilancio 1,2 euro per azione. Nagel dopo «le interlocuzioni avute con Cairo» è convinto che «il gruppo editoriale abbia ora migliori prospettive e possa rivalutarsi».

Nonostante i dati di bilancio siano in crescita in tutte le aree e superiori alle attese (ai soci va una cedola di 37 centesimi, per un pay out del 43%), un solido indice di

patrimonializzazione (il core tier 1 è al 13,3%), la maggioranza dei broker ha suggerito ai propri clienti di mantenere il titolo in portafoglio, mentre in Piazza Affari Mediobanca ha chiuso la seduta praticamente invariato a 8,9 euro.

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