Il gruppo francese Société Générale spunta nelle Generali con una partecipazione aggregata pari al 4,977% del capitale di cui però solo 0,014% con diritti di voto. L'operazione risale all'11 marzo (il 7 marzo la quota era addirittura del 5,11%) ed è emersa dalle comunicazioni sulle partecipazioni rilevanti della Consob ieri pomeriggio a Borsa chiusa. Dalla banca transalpina hanno spiegato che è il risultato di operazioni realizzate per conto dei propri clienti nell'ambito delle attività di mercato. Sommando quindi tutta l'attività compiuta attorno alle azioni del Leone, Socgen si è ritrovata a gestire titoli pari potenzialmente a un 4,9% del capitale (sono diverse le opzioni legati a contratti put e call). Un copione simile a quello del 2016 quando lo stesso istituto aveva costruito una partecipazione aggregata del 4,171% (lo 0,9% dei diritti di voto). Non c'è, insomma, alcun posizionamento strategico dei francesi su Generali, nessun rastrellamento. Un pacchetto così robusto della «fortezza» triestina alimenta comunque le suggestioni considerando i continui rumors (sempre smentiti) che vedono la Unicredit di Jean Pierre Mustier accostata ai francesi di Socgen per dare vita ad una grande gruppo e che Generali ha come maggior azionista Mediobanca di cui il gruppo di Piazza Gae Aulenti è secondo socio.
Di certo, le manovre dei francesi sono affiorate a poche ore dalla presentazione dei conti 2018 chiusi con un risultato operativo di gruppo che cresce del 3% a 4,8 miliardi, «grazie al contributo di tutti i segmenti di attività», e un utile netto a 2,309 miliardi (il migliore dal 2007, con +9,4% rispetto al 2017) che consente di proporre ai soci un dividendo per azione pari a 0,9 euro, in crescita del 5,9% sul 2017. Non solo. L'impennata dello spread che ha tenuto banco per la seconda metà dell'anno scorso non ha azzoppato il Leone di Trieste. «La nostra esposizione è di 59 miliardi su un totale di asset di quasi 500 miliardi senza nessun impatto negativo sulla nostra solidità patrimoniale, abbiamo dimostrato che siamo in grado di assorbire shock sui Btp», ha sottolineato ieri l'ad, Philippe Donnet. Aggiungendo che per quanto riguarda il Solvency Ratio (l'indice di solvibilità che misura il livello di patrimonializzazione e che non deve scendere sotto ai requisiti minimi chiesti dalla Vigilanza europea), «siamo a 7 punti di sensibilità per apertura di 100 punti base». Tradotto: una variazione al rialzo dello spread (ieri ha chiuso a 241 punti, sui minimi da fine gennaio) di 100 punti base, consumerebbe circa 7 punti percentuali dell'indice che oggi si al 216% (dal 207% di fine 2017).
Le «spalle» del Leone si sono dunque allargate considerando che a fine 2017 i punti di «sensibilità» erano 12. Tra marzo 2016 e giugno 2017, inoltre, la compagnia assicurativa aveva aumentato leggermente il peso dei titoli di Stato italiani: dai 63,8 miliardi del 2015 ai 64,2 miliardi di due anni fa.
Tornando ai conti, il Leone ha battuto tutti i target del piano 2015-2018 realizzando una generazione di cassa cumulata di 8 miliardi (l'obiettivo era di arrivare sopra i 7), distribuendo dividendi cumulati per 5,1 miliardi (il target era sopra i 5 miliardi). La raccolta Vita si attesta a 11,4 miliardi (+5,2%) mentre il Danni vede premi in crescita del 3,3% a 20,6 miliardi. I premi complessivi del gruppo si attestano a 66,69 miliardi (+4,9%).
Il cda ha infine deliberato di sottoporre all'assemblea un piano di azionariato per i dipendenti del gruppo che consentirà loro di acquistare a condizioni agevolate azioni ordinarie della società rinvenienti da un programma di buy-back al servizio del piano.
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