È subito gelo tra i sindacati e i nuovi proprietari dell'Ilva, la Am Investco: cordata Arcelor Mittal-gruppo Marcegaglia. Il passaggio di consegne del gruppo siderurgico alla squadra a trazione indiana è lastricato di problemi sul fronte occupazionale. Un caso che preoccupa anche il governo. A sei mesi dalle elezioni, infatti, l'industria italiana sembra finita sul binario morto e, solo tra Ilva e Alitalia, si rischiano di lasciare a casa almeno 6mila persone.
A Taranto, l'allarme delle ultime ore è scattato sulla conferma dei 4mila esuberi. Numeri che erano già stati messi nero su bianco dal compratore. Ma non nelle modalità contrattuali. Sembra infatti che gli altri 10mila dipendenti della galassia Ilva saranno inquadrati sotto il cappello del Jobs act perdendo, di fatto, le tutele dell'articolo 18, scatti di anzianità e integrativi aziendali, con una notevole sforbiciata sul fronte salariale. La lettera inviata venerdì ai sindacati, ai ministeri del Lavoro e al Mise da Am Investco e dai tre commissari straordinari dell'Ilva chiarisce che saranno riassunti 9.885 dipendenti su 14.200: in particolare a Taranto saranno 7.600, anziché 11mila, 900 (su 1.500) a Genova, 700 a Novi, 345 a Marghera, 160 a Milano e 125 a Racconigi. Circa 4mila esuberi resteranno invece in carico all'amministrazione straordinaria.
Un sacrificio per il quale Arcelor avrebbe promesso 2,4 miliardi di investimenti (1,13 per i piani ambientali e 1,25 per il piano industriale), l'impegno a implementare il piano ambientale come proposto dal governo e l'aumento della produzione di acciaio a 6 milioni di tonnellate/anno entro il 2018 e quindi a 8 dopo il 2023, a piano ambientale completato. Una contropartita troppo dura sul fronte del lavoro che ha portato le Rsu a proclamare una raffica di scioperi (24 ore a Taranto, 8 a Genova e Novi Ligure) in coincidenza con l'incontro fissato per domani a Roma al ministero dello Sviluppo. La riduzione dell'occupazione negli stabilimenti Ilva è «inaccettabile ed insostenibile, innanzitutto dal punto di vista sociale e, inoltre, dal punto di vista economico», afferma il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. «È un piano lacrime e sangue sostiene Giuseppe Romano, segretario della Fiom Cgil - e tutto questo è inaccettabile. Ci sentiamo traditi dal governo e chiediamo il rispetto di quelle garanzie che aveva millantato nei mesi scorsi. O si cambia o sarà complicatissimo andare avanti». Una mina per il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che sul fronte industriale si ritrova ad avere almeno due grandi difficili partite in contemporanea: Ilva e Alitalia.
A una settimana dalla scadenza (il 16 ottobre) delle offerte vincolanti per l'ex compagnia di bandiera, la situazione appare decisamente in salita con i pochi pretendenti rimasti che, uno ad uno, si stanno sfilando dalla partita. Che succederà a questo punto? Tra un mese scade il prestito ponte e la vendita sembra andare ai supplementari: i commissari hanno appena chiesto l'estensione di altri 6 mesi della Cigs con l'individuazione di ulteriori 500 esuberi.
A conti fatti, dunque, non è da escludere che il conto sul fronte occupazionale possa essere più salato degli iniziali 2mila esuberi previsti e che, anche sul fronte Alitalia, si arrivi a una vendita sulla falsariga del caso Ilva. Se ci fosse una nuova newco anche qui il jobs act potrebbe dare il la alla revisione delle tutele.
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