Chi guadagna (davvero) con la guerra in Ucraina

Difesa e big oil a parte, vincono finanza e speculazione: la guerra può segnare una nuova divaricazione tra economia reale e finanza, tra crescita e investimenti a rischio

Chi guadagna (davvero) con la guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina ha causato uno sconvolgimento globale nei mercati e nelle catene del valore economiche, specie sul fronte securitario, ma come ogni grande crisi globale ha avuto i suoi "vincitori", anche involontari: attori economici trovatisi più o meno direttamente favoriti dall'impatto del conflitto sulle loro operazioni.

Parliamo, ovviamente, di quei settori che metteranno in conto extra-profitti diretti dal conflitto, a causa dell'aumento delle attività, della corsa a investimenti sicuri sui loro titoli o del rilancio dei rispettivi settori, oppure degli operatori finanziari che si sono mossi per capitalizzare al meglio la crescente volatilità che anima i mercati in questa fase.

Partiamo dal primo campo. In questo ultimo mese in cui le tensioni belliche sono esplose in tutto il mondo occidentale hanno avuto un boom i titoli di imprese afferenti al complesso militare-industriale. A Piazza Affari Leonardo, per fare un esempio, ha segnato +41%, una giovane compagnia come Defence Tech ha marcato +10%, a Parigi Thales sfiora il +35%, a Londra British Aerospace segna +23% e negli Usa +10% e +13% fanno segnare rispettivamente General Dynamics e Lockheed. In un trend di batosta generalizzata per i mercati, queste crescite fanno segnare un'aspettativa crescente di ordinativi.

Tra i fondi quotati in borsa (ETF) che seguono il settore della difesa, un nuovo fronte arriva dal mondo cyber, con il maggior fondo al mondo in materia, l'ETF Global X Cybersecurity, che ha visto il suo valore aumentare di oltre il 10% dall’inizio della guerra. Per Morgan Stanley l'incertezza su un conflitto cyber tra Russia e Occidente "continuerà a fornire un forte vento in poppa per i titoli di sicurezza informatica" nei mesi a venire.

Vanno a gonfie vele, come anticipato, anche i fondi che hanno giocato sul filo della speculazione sui titoli delle materie prime scommettendo su trend rialzisti e facendo operazioni di "spremitura" dei mercati. Nei mesi della crescente volatilità finanziari su scala globale, molti investitori si sono posizionati "lunghi", prevedendo un trend rialzista ma oscillatorio, fatto di continue corse sull'ottovolante delle quotazioni dei titoli e spingendo fortemente sul mercato dei futures di petrolio, gas e altre materie prime. Dunque contribuendo a fare auto-avverare il timore di uno scenario di prezzi elevati e inflaizone galoppante, ma ottenenendo latui profitti, specie dopo l'inizio della guerra. "Statar Capital - hedge di Miami specializzato in materie prime", nota Il Sole 24 Ore, ha fatto segnare "da ottobre 2018 +266% contro il 66% dell'indice S&P 500", concentrando assieme al suo fondatore Ron Ozer, guru del settore, ampi margini nelle ultime settimane. In un contesto in cui "ci sono soggetti commerciali - non certo speculatori - costretti a rincorrere la volatilità per evitare guai peggiori" gli operatori in questione lucrano su due fronti di incertezza: da un lato, sul fronte della necessità per le utilities e le compagnie di commerciare gas, petrolio e altre materie per mantenere liquidi i mercati, arrivando a venderli sottoprezzo, dall'altro sul fatto che la finanziarizzazione dei mercati e l'incertezza spingono verso l'alto i futures, animando dinamiche di prezzo crescenti.

C'è dunque una mano speculativa dietro all'aumento incontrollato dei prezzi? Anche, ma non solo. La batosta inflattiva si autoalimenta e l'intervento degli hedge fund sui mercati (per il gas europeo si parla del 17,8% delle posizioni di acquisto) fa il resto. Ma per Il Sole "anche le grandi banche d'affari - circolano i nomi di Goldman Sachs, BofA, Bnp Paribas e Morgan Stanley - si sono mosse sulle commodity. Tra chi ha senz' altro beneficiato dei prezzi record del petrolio e del gas ci sono poi le compagnie petrolifere: le grandi Major globali hanno registrato profitti in aumento tra le due e le sei volte rispetto al 2020", destinate ad aumentare nell'anno in corso.

Siamo dunque in un contesto che vedrà vincitori e vinti ben chiari. Tra i settori industriali, perno dell'economia reale, solo quello della difesa e i suoi indotti possono festeggiare. La vittoria finanziaria di molti operatori è già netta, ma va di pari passo con uno shock da economia di guerra che si inserisce nel quadro della più complessa crisi energetica ed inflattiva del secondo dopoguerra.

I risultati appaiono chiari: la guerra tra Russia e Ucraina, in Occidente, può segnare una nuova divaricazione tra economia reale e finanza, tra crescita e speculazione. E questo non conviene a buona parte dei sistemi avanzati, colpiti da dinamiche molto più concrete.

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