Per Indesit si tratta di una «ristrutturazione volta alla sopravvivenza di un'azienda sana», per i sindacati invece, il piano presentato dalla società, è inaccettabile. La ristrutturazione, solo presentata nelle linee guida, fa già discutere prima ancora del dibattito, che sarà aperto in sede nazionale tra azienda governo e sindacati, previsto per mercoledì prossimo. Ieri intanto la società ha «messo in libertà» i lavoratori degli stabilimenti di Melano e Albacina a Fabriano e chiuso le linee produttive fino al 2 luglio lasciando di fatto a casa anche i lavoratori non scioperanti perché ha sostenuto che era «impossibile approvvigionare correttamente le linee produttive» a causa degli scioperi promossi. La misura ha ovviamente indispettito i sindacati, che accusano l'azienda «di comportamento antisindacale». Certo è che il piano è pesante perchè interessa 1.425 dipendenti, ossia quasi la metà di quelli presenti in Italia. L'azienda ha specificato di non voler licenziare nessuno ma di voler procedere nella razionalizzazione, utilizzando una serie di ammortizzatori sociali: dalla solidarietà, alla cassa integrazione. Alla base c'è l'eterno problema del costo del lavoro in Italia, dove resterebbero solo le produzioni più pregiate, ossia quelle riguardanti gli elettrodomestici da incasso e i forni mentre tutto il cosiddetto «bianco» di bassa gamma, specie i frigoferiferi, verrebbe prodotto nei già esistenti stabilimenti di Polonia e Turchia. Dove il costo del lavoro è di 6 euro l'ora contro i 24 previsti in Italia. A pesare sulla decisione ovviamente c'è anche è soprattutto la crisi. In Italia le vendite di elettrodomestici sono scese infatti del 30% e in Europa del 10% dal 2007. In realtà Indesit in Italia produce il doppio di quanto vende dato che molti dei suoi prodotti finiscono nell'Europa dell'est, unico mercato in crescita ma con prezzi in calo a causa della forte concorrenza asiatica. In Italia l'azienda prevede però anche 70 milioni di investimenti fino al 2016 a corredo del piano che, secondo Indesit, renderebbe più snella ed efficiente la struttura del gruppo e a razionalizzare l'assetto produttivo nei vari impianti. «Nonostante i 70 milioni di euro di investimento in tre anni, questo piano ha più ombre che luci, sotto tutti i punti di vista e per questo non è stato condiviso dalle rappresentanze sindacali ha detto Angelo Alfonsi, segretario provinciale Fiom-Cgil . L'azienda vuole farlo passare come un piano di salvaguardia per l'occupazione, ma non possiamo accettare che tutto ciò passi per la delocalizzazione di interi processi produttivi».
Del resto negli ultimi anni, con intensificazione nel 2012 e nel primo semestre del 2013, la situazione di mercato ha fortemente impattato le produzioni italiane di Indesit, con il conseguente ricorso a cassa integrazione ordinaria per gli stabilimenti (25% delle giornate lavorate) e da aprile 2013 anche per gli uffici centrali (20% delle giornate lavorate).
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