In JpMorgan è resa dei conti. Il buco di 2 miliardi di dollari causato dal trader Bruno Michel Iksil su scommesse sbagliate ha fatto saltare le prime teste. Sono quelle di tre manager, tra i quali Ina Drew, responsabile del risk management nella divisione che ha registrato le perdite. Gli altri nomi che circolavano ieri sera erano quelli dello stesso Iklis e di Achilles Macris, il capo del trader. Ma non è tutto, la banca d’investimenti Usa potrebbe anche pagare salato la maxi-perdita legata alle speculazioni. Per L’Independent, i banchieri temono che almeno il 50% dei bonus, attesi quest’anno, possano essere cancellati dall’assemblea dei soci, che potrebbe così ridurre l’impatto del buco creato dalla «balena di Londra», come viene soprannominato lo stesso Iksil, il trader francese che vive a Parigi e lavora nella City, solito a recarsi in ufficio in jeans e senza cravatta. Nel 2011 il colosso Usa aveva versato ai 26mila manager un bonus per complessivi 5,8 miliardi di dollari.
JpMorgan, intanto, recita il mea culpa, e ammette che l’errore nelle operazioni di trading rischia di spianare la strada alla Casa Bianca che vorrebbe un giro di vite sulle banche d’investimento. Jamie Dimon, amministratore delegato del colosso finanziario di Wall Street, passato quasi indenne dalla crisi dei subprime, in un’intervista alla Nbc riconosce infatti di essersi «completamente sbagliato» quando, il mese scorso, bollò come «una tempesta in un bicchier d’acqua» i timori sollevati dalla maxi-perdita. Agli inizi del mese, in proposito, almeno per i dipendenti del gruppo, era evidente che la situazione stesse peggiorando. Una squadra di esperti del rischio della banca, o Navy Seals come sono stati battezzati (il riferimento è al corpo speciale che ha ucciso, un anno fa, Osama Bin Laden), ha iniziato così a incontrarsi due volte al giorno. E a molti summit era presente anche il numero uno Dimon.
Il maxi-buco da 2 miliardi di dollari (che protrebbero salire a 3) fu un «terribile, oltraggioso errore» per il quale «quasi non ci sono scuse» e «la banca dovrà pagarne il prezzo», dice imbarazzato e contrito Dimon ai microfoni della Nbc. Parole mai sentite prima da uno dei più celebrati banchieri americani, capace di portare Jp Morgan a scalare una montagna di utili, e di bonus per i suoi banchieri, anche nei momenti più difficili degli ultimi cinque anni. Ma incapace di rendersi conto di quello che stava esplodendo. È stato fin troppo facile, per Dimon, spiegare che la banca stava facendo trading non per fare utili, ma per ripararsi dai rischi finanziari verso i mercati europei. Ma a Washington c’è chi la pensa proprio al contrario, come il combattivo senatore democratico Carl Levin.
Le maxi-perdite di JpMorgan, a questo punto, mostrano, secondo alcuni osservatori, come Wall Street dal 2008 non abbia imparato molto e sia subito tornata «alle sue vecchie abitudini». Ecco allora riproporsi il dibattito sulle regole e sul ruolo delle autorità che, anche questa volta, non si sono accorte di quanto stava accadendo e si sono fidate della banca.
E così, paradossalmente, proprio l’errore di JpMorgan rischia di spianare la strada alla stretta voluta da Barack Obama. La vicenda riapre, di fatto, il confronto sulle norme e sulla distinzione tra proprietary trading e operazioni di copertura, una dicotomia che la Volcker Rule, in via di approvazione, non riesce a sciogliere.
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