Economia

L'oro sfonda quota 2mila. Vertice Usa-Cina sui dazi

Gli analisti vedono il metallo giallo a 2.300 dollari. Per Pechino il nodo delle importazioni

L'oro sfonda quota 2mila. Vertice Usa-Cina sui dazi

La febbre dell'oro sale ancora: mentre aumentano le incertezze a livello globale, il metallo prezioso vola a nuovi record storici, fino a 2.050 dollari l'oncia, all'indomani dell'esplosione di Beirut. Gli investitori scelgono il bene rifugio per eccellenza, mentre prosegue lo stallo sul nuovo round degli stimoli fiscali negli Stati Uniti e si complicano i rapporti tra Washington e Pechino. Da inizio anno, con l'esplosione della pandemia, il metallo giallo ha guadagnato il 30% circa e sono in molti gli esperti pronti a scommettere sul proseguimento del rally.

«L'oro è un asset denominato in dollari, pertanto molti investitori stanno trovando in esso una valida alternativa a fronte di un biglietto verde indebolito» e al calo dei rendimenti dei Treasuries, spiega Giacomo Calef, country manager di Notz Stucki. In questo scenario WisdomTree vede come target i 2.070 dollari l'oncia, Citibank i 2.100 dollari a breve termine e 2.300 nell'arco di almeno sei mesi e Bofa Global Research addirittura i 3mila dollari all'oncia entro un anno e mezzo. Più distaccato Ipek Ozkardeskaya, senior analyst di Swissquote, per cui l'oro si trova a un bivio. «Le opzioni sono due: assistere alla creazione di un nuovo e robusto livello di supporto che costituisca la base di ulteriori guadagni, anche grazie al fatto che gli investitori stanno aumentando le coperture contro i crescenti rischi di inflazione globale causati da massicci stimoli monetari e fiscali, oppure ad una forte correzione al ribasso».

Ma gli occhi del mercato sono fissi anche sul prossimo vertice tra Cina e Stati Uniti che dovrebbe essere in agenda il 15 agosto. Le trattative, a cui sono attesi Robert Lighthizer, rappresentante commerciale degli Stati Uniti e Liu He, vice premier cinese, saranno concentrate sulla cosiddetta Fase Uno, ovvero sull'impegno di Pechino a incrementare le importazioni dagli Usa di 200 miliardi di dollari in due anni. Il Paese asiatico guidato da Xi Jinping (nella foto) potrebbe poi sollevare il tema relativo alle azioni repressive di Washington nei confronti delle società tecnologiche cinesi. La levata di scudi del presidente Donald Trump nei confronti di Tik Tok, social cinese entrato nel mirino di Microsoft, è solo l'ultimo di una serie di casi che hanno interessato le stelle hi-tech asiatiche. Intanto sul fronte macroeconomico sia dal Vecchio che dal Nuovo Continente arrivano segnali incoraggianti che hanno sostenuto il rialzo dei listini europei: Milano ha chiuso in crescita dello 0,6%, Parigi dello 0,9%, Francoforte dello 0,4 per cento. L'indice pmi composito (comprensivo dei servizi e quello manifatturiero) dell'Eurozona è risalito a luglio a 54,9 punti dai 48,5 di giugno (sopra i 50 punti l'indice segna una fase di espansione economica).

Negli Usa invece l'indice pmi dei servizi è salito a luglio a 50 punti dai 47,9 di giugno e dai 49,6 punti attesi dagli analisti.

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