Economia

Il Fisco piomba sui conti correnti: cosa si rischia

La Corte dei conti ha dato indicazioni precise per ciò che riguarda la riforma della riscossione dei crediti pubblici

Il Fisco piomba sui conti correnti: cosa si rischia

Tempi duri per i titolari dei conti correnti debitori nei confronti di enti pubblici. La Corte dei conti ha dato indicazioni precise per ciò che riguarda la riforma della riscossione dei crediti all’interno del rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2021 del 28 maggio scorso. Chi è addetto a riscuotere potrà conoscere la consistenza del conto del debitore e non soltanto l'esistenza, mentre è stato dato il via libera al rafforzamento delle misure esecutive come il ritorno al pignoramento della prima casa e a soluzioni straordinarie ed eccezionali per lo smaltimento dell'arretrato. In questo modo si intende superare le difficoltà legate al recupero dei crediti.

I dati riportati nella relazione, come sottolinea Italia Oggi, evidenziano che magazzino delle giacenze è a quota 1.068.802,8 garantendo dal 2000 al 2020 una percentuale di crediti riscossi pari al 13%. C’è, quindi, la necessità di revisionare profondamente il sistema di riscossione coattiva dei crediti pubblici. Il governo si è impegnato a presentare al Parlamento, entro due mesi dall’approvazione del decreto Sostegni 1, i criteri di revisione per riscuotere i crediti, ma dai primi segnali non sembra esserci identità di vedute tra politica e giudici contabili. Per la Corte dei conti, gli interventi più “energici” dovrebbero riguardare la normativa procedimentale che “si presenta inidonea ad assicurare adeguata tutela dell'interesse pubblico”, tanto da far diventare, secondo la relazione, il creditore pubblico in condizione peggiore del creditore privato.

Elementi dirimenti sarebbero: i limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, salario e altre indennità; i limiti all'espropriazione mobiliare nei confronti dei debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro; l'innalzamento a ventimila euro della soglia al di sotto della quale è fatto divieto di iscrivere ipoteca; i limiti all'espropriazione immobiliare e impignorabilità dell'unico immobile di proprietà in cui il debitore risiede anagraficamente. Tra i provvedimenti proposti ci sarebbe il pignoramento immobiliare, che riguarderebbe l’abitazione principale. La vendita coattiva immobiliare potrebbe avvenire anche se il valore dei beni risulti inferiore a 120mila euro, purché la stessa sia economica, cioè tale da comportare il realizzo di somme superiori alle spese di procedura.

Inoltre, secondo i giudici, bisognerebbe introdurre una presunzione di legge rafforzata sulla proprietà dei beni mobili che si trovano presso l'abitazione di residenza del debitore. Sugli ufficiali giudiziari, poi, e sulla riscossione si va verso l’idea che la struttura procedente possa conoscere non solo dell'esistenza del rapporto, ma anche la sua consistenza attuale.

Infine, a maggiore tutela dei crediti pubblici potrebbe essere prevista l'inefficacia, rispetto all'amministrazione finanziaria, degli atti a titolo gratuito trascritti dopo la notifica di cartelle a carico del dante causa per importo pari o superiore al minimo richiesto per l'iscrizione di ipoteca.

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