Mediobanca esce da Rcs e Telecom

Mediobanca esce da Rcs e Telecom

La «Mediobanca 2.0» di Alberto Nagel ieri si è presentata agli investitori. Il modello da seguire sarà esclusivamente bancario, i «salotti buoni» sono il passato. La Borsa non ha salutato favorevolmente la conversione e il titolo è crollato (-9,42% a 4,04 euro), ma, come ha ricordato l'ad, negli ultimi due mesi Mediobanca ha «sovraperformato» (+26% fino a giovedì) rispetto al proprio settore egli investitori hanno colto l'occasione per prendere beneficio. Vediamo ora nel dettaglio la «rivoluzione» di Nagel.
Gli obiettivi
Mediobanca conta di raggiungere alla fine dell'esercizio 2015-2016 ricavi per 2,1 miliardi con una crescita media annua del 10%: di questi un miliardo dovrebbe pervenire dall'investment banking e 1,1 miliardi dal retail (Compass e CheBanca!). Il Core Tier 1 dovrebbe restare su livelli elevati all'11-12% e il rapporto costi/ricavi dell'attività bancaria attestarsi al 35-40% con un monte dividendi al 40% degli utili. La base di partenza sarà tutta in salita: l'esercizio 2012-2013, che si chiude a fine giugno, sarà in negativo per 200 milioni a causa di 400 milioni di svalutazioni su tutte le quote azionarie (da Rcs a Telecom a Pirelli, esclusa Generali). La decisione anticipa la svolta epocale: le partecipazioni saranno vendute nell'arco del piano (dunque non si soffriranno minusvalenze). Su un'eventuale cedola deciderà il board.
Patti addio
Mediobanca «non ha fatto aumenti di capitale» negli anni della crisi «e non ne ha bisogno», ha sottolineato Nagel. L'espansione dell'istituto sarà perseguita con altri mezzi, ossia con la riduzione dell'esposizione all'azionario per 2 miliardi, mossa che consente di liberare capitale. Di questi, 400 milioni provengono dalle svalutazioni e oltre 1,5 miliardi dalle cessioni di quote. Le vendite implicano l'uscita «alla prima finestra utile» da tutti i patti di sindacato nei quali Piazzetta Cuccia ha congelato gli asset. A partire dall'11,6% di Telco, la controllante di Telecom il cui patto scade a settembre. Il mantra è chiaro: «Mediobanca non può e non deve essere un azionista di lungo termine», ha detto Nagel, pur non celando l'insofferenza su alcuni aspetti relativi al fatto che «i vantaggi dello spin-off della rete non sono ovvi» e che «non vi è stata una proposta di Hutchison» per un 10% dell'operatore tlc. Idem per Pirelli e per gli altri accordi parasociali (Italmobiliare e Gemina).
Generali e Rcs
Degli 1,5 miliardi di introiti da cessione, 600-700 milioni proverranno dalla vendita del 3,2% di Generali. Piazzetta Cuccia ha scelto di ridurre al 10% la quota nel Leone (pur non essendovi obbligata dalle norme di Basilea 3) per investire nel banking. «Non deve essere per forza una vendita sul mercato», ha spiegato Nagel sottolineando che bisogna «trovare un partner che ne sostenga lo sviluppo, ad esempio un fondo sovrano asiatico». Discorso diverso per Rcs. «Prima si rivede il patto e meglio è, anche prima di settembre», ha detto l'ad confermando l'apertura a Diego Della Valle: «Ben venga il suo contributo, ma prima della fine dell'aumento non ci sono margini per cambiare il piano».
Il core business
«Dopo la Turchia valutiamo l'ingresso del nostro corporate banking anche in Cina e Messico», ha annunciato il dg Francesco Saverio Vinci. Le risorse per l'espansione proverranno dalle dismissioni.

Sono previste anche piccole acquisizioni nell'alternative asset management, ma non ci saranno scambi con Piazza Cordusio. «Pioneer è troppo grande, non starebbe bene in portafoglio, mentre non penso che Unicredit voglia privarsi dell'investment banking», ha chiosato Nagel.

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